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Ieri, nel guardare le immagini in televisione della bella manifestazione sindacale, il mio animo profondamente malinconico, per un attimo, ha rivissuto altre manifestazioni altrettanto partecipate, ho cantato con il silenzio del pensiero canzoni di lotta operaia, ho alzato il pugno sinistro chiuso ed ho aperto e sventolato la mia bandiera rossa… E’ vero, noi ex comunisti siamo così, nonostante tutto ci emozioniamo nel vedere un popolo unito in una missione di lotta, nel vedere le bandiere rosse sventolare all’unisono, si, lo ammetto, anche io, malinconicamente, lascio correre la mia anima all’emozione. In fondo non c’è niente di male, anzi, è bello essere parte di una storia condivisa ed avere condiviso con tanti compagni momenti di lotta, quindi al bando tutti coloro che guardano ciò con il disgusto del ben pensante borghese e radical chic. Poi, però, con il raziocinio dei miei 58 anni, con il peso sulle spalle della crisi economica che ha distrutto le mie certezze e che ha minato le mie residue speranze, ho lasciato in disparte la passione, ho ridotto le mie emozioni ed ho lasciato spazio ai numeri della razionalità.
Così, dopo gli attimi di pura irrazionalità mi sono ritrovato ad analizzare freddamente quanto vedevo, ma quanto, sopratutto, ascoltavano le mie orecchie, ed allora, solo allora, ho compreso che l’elemento scatenante le mie emozioni erano le stesse parole usate negli anni, gli stessi slogan, e, quasi, gli stessi visi incazzati (aggiungo giustamente incazzati), ed è stato nel duro risveglio alla realtà che ho veramente compreso la mia distanza da ambedue le manifestazioni che si sono svolte ieri, da una parte quella marea di compagni che chiedevano, magari usando parole desuete, solo di modificare un decreto pur necessario, e dall’altra quella sorta di manifestazione autocelebrativa del leader che vuole cambiare il Paese, ma che, sino ad ora, è riuscito solamente a convincere parte degli italiani che lo ha cambiato attraverso i suoi spot proclami.
Nella mia totale solitudine e senso di abbandono ho compreso come sia davvero giunto il momento di cambiare, rendendole più aderenti alla realtà odierna, le regole del lavoro, come sia necessario che tutti, e sottolineo tutti, partecipino alla stesura di una politica industriale di largo respiro, e che segni una strada da seguire per dare all’Italia ed ai suoi cittadini provati, uan prospettiva di crescita, che sia ormai urgente che persino il sindacato analizzi meglio il proprio ruolo modificando messaggi e linguaggi, proprio per evitare di essere schiacciati da questo nuovo leader schiacciasassi che vuole lasciare vittime sul suo percorso. Ora non so esattamente cosa si debba fare, ma certamente, dopo la manifestazione di ieri, il nostro segretario, premier, non può più irridere un sindacato che fa il suo mestiere (magari usando metodi e parole superate) ma sopratutto non può fingere che tutti quei suoi concittadini hanno deciso di andare a Roma a manifestare il proprio dissenso, sopratutto non può farlo utilizzando la comunicazione tipica del tycon di Arcore (lui ha a cuore 60 milioni di italiani non un milione), è giunto il momento in cui Renzi debba dimostrare di essere un vero leader e non solo un bravo piazzista, deve comprendere le ragioni della piazza e incontrare i suoi rappresentanti per vedere di trovare un compromesso al rialzo alla sua legge delega.
Vedremo se tutto ciò accadrà, vedremo nelle prossime settimane, l’unica certezza è che questo orso cinquantottenne ormai è orfano di quello che per tanti anni è stato il partito per cui ha lavorato nel tempo libero. Ma non è solo.

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Stefano Peverin



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