Essere quelli del passaggio dalla carta di giornale alla carta igienica.
Nora ne stava parlando con suo figlio.
Nel senso che lei parlava e lui aveva quella fretta sottopelle dei giovani che comunicano a pizzichi e morsi su whatsapp. Magari con le abbreviazioni.
Non che non fosse interessato… Diciamo che se lei parlava o meno, era la stessa cosa. Certo, parlando, il tempo della colazione passava più in fretta. Non che lui fosse maleducato… Era solo accelerato, di suo, e preso dai molti pensieri. Nora era la mamma casalinga che aveva lavorato come segretaria per un certo periodo un secolo prima — un’altra epoca, con altri ritmi. Non poteva ricordare. Non aveva l’esperienza dei tempi attuali. Lui sì, con la prorompente carica adrenalinica per considerare tutto a trecentosessanta gradi e la vaghezza per non soffermarsi su alcun particolare. O almeno così le sembrava Matteo. Quel figlio, l’ultimo nato, quando ormai pensava di aver concluso con le gravidanze. Un figlio da genitori non più giovani.
— Usavi la carta di giornale come carta igienica? — domandò, stranamente incuriosito Matteo.
“Finalmente qualcosa che attrae la sua attenzione” pensò Nora. Però, chissà come la considerava, ora: più decrepita di quanto già non fosse.
— Sì, ho fatto anche quello, — si inorgoglì la donna, appendendosi quell’usanza come una medaglia del tempo che fu. E precisò: — Ero andata con mio padre a cercare una pensioncina per trascorrere le ferie, verso Gatteo a Mare. In famiglia non c’era da scialacquare e mio padre doveva valutare… — si bloccò, accorgendosi, dallo sbuffo del figlio, di averla presa troppo alla lontana. I ricordi le si confusero. — Beh, — proseguì, radunando le idee, — mentre alloggiavamo nella pensioncina Alma, una sera d’agosto i miei uscirono per fare una passeggiata e mi lasciarono in albergo, da sola, nella sala comune dove c’era la televisione. Avrò avuto nove anni e mezzo… — e sbirciò Matteo, per osservarne la reazione. Se avesse avuto tempo, gli avrebbe spiegato che una volta i genitori si comportavano così perché i figli erano più maturi e indipendenti di quelli di adesso e che con lui, invece, non l’avevano mai fatto, per un maggior senso di responsabilità. Di entrambe le situazioni andava fiera. — Si erano portati via la chiave della camera, una delle poche fornita di bagno privato, ed io ne avevo bisogno.
— Va bene. Taglia, — la sollecitò il giovane. E subito gli spiacque d’aver usato quel tono spiccio. Ma doveva andare al lavoro e si svegliava mezz’ora prima per evitare di imbottigliarsi nel traffico. Possibile che sua madre non lo ricordasse? La guardò accigliato e gli parve invecchiata di colpo. Non se ne era mai reso conto. Ne ebbe pena e pazientò.
Nora si era risentita un poco per quell’interruzione brusca. Aveva contratto e arricciato le labbra, come fanno i bambini. Una volta tanto che gli regalava un ricordo, pensava… Lo sapeva che poi, un giorno, il figlio si sarebbe trovato privo di quei piccoli aneddoti e si sarebbe accorto di aver vissuto con i genitori, ma di non sapere — quasi — nulla di loro. Com’era accaduto a lei, con i suoi. No. Doveva ascoltare anche i dettagli, era importante.
— Allora, — proseguì, compunta la donna, — chiesi ai gestori della pensioncina dov’era un bagno ed essi me ne indicarono uno di servizio. Lì, c’erano i foglietti di giornale, come carta igienica.
Matteo le rivolse uno sguardo fintamente stupito, distogliendolo dalle notizie del telegiornale: — Ma… usavate la carta di giornale anche in casa?
— No, no, in casa avevamo la carta igienica! — s’inorgoglì lei. — Eravamo… evoluti! — E continuò: — Il bagnetto di servizio era dietro le cucine.
— Era per il personale? — dedusse svagato il ragazzo, sorbendo l’ultimo goccio di caffè, un’occhiata all’orologio a muro.
— Sì, — confermò. E avrebbe voluto dilungarsi, raccontandogli che i gestori non l’avevano accompagnata, e della sua paura, di notte, senza illuminazione esterna, nel retro dell’alberghetto, con la fioca luce che filtrava dalle finestre delle cucine, e lei a cercare, a non trovare, a desistere, a ritornare, per l’insopprimibile urgenza, a piangere sommessamente, a tastare, a rinvenire la porticina sconnessa di un cesso, una “turca”, e nel buio, tenendo l’anta socchiusa, con il terrore che arrivasse qualcuno e spalancasse l’uscio, una pipì lunga, calda, a cascata (i muscoli pelvici doloranti per lo sforzo d’averla trattenuta), il nettarsi con i foglietti di giornale, il rivestirsi in fretta e furia, il tirare la catenella per azionare lo scarico, il fuggire via da lì… Ma il figlio doveva andare al lavoro e non voleva fargli fare tardi.
Matteo si alzò lesto dalla sedia, prese le chiavi dell’auto, il cellulare e aprì la porta di casa.
— Ma quanto erano grandi, i foglietti? — domandò volgendosi appena, per darle soddisfazione.
Lei gli mostrò le dimensioni con le mani. — E mentre si era lì ad aspettare, — non poté esimersi dall’aggiungere, — si potevano leggere le notizie, anche se erano vecchie. Insomma, quei foglietti di giornale erano doppiamente utili…
— Ah, giusto! — fece lui. — Ok, vado. Buona giornata.
— Ciao. Buona giornata, — rispose. Ma il figlio aveva già chiuso la porta dietro di lui.
Beh, avrebbe potuto aggiungere ancora particolari… e ometterne altri, per decenza… “Però” pensò “intanto gli ho raccontato qualcosa di me”. Era sicura che il figlio avrebbe incasellato quelle nozioni nel suo data base — “perché sembra che non ascolti” — e che le avrebbe estratte, inconsciamente, in un momento della sua vita. Probabilmente quando non ci sarebbe stata più… Ed evitò di fare della facile ironia riguardo al supporto cui aveva affidato le sue memorie.
(Carla Sautto Malfatto – tutti i diritti riservati)
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Carla Sautto Malfatto
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