Il problema oggi non è che si parla poco di mafia, ma come se ne parla, questa affermazione è un buon punto di partenza per tentare di fare ordine fra i tanti spunti di riflessione arrivati dalla presentazione di “Mafie del Nord. Strategie criminali e contesti locali” (Donzelli 2014), tenutasi ieri al dipartimento di Giurisprudenza.
Partiamo dall’inizio: Mafie del Nord è il terzo volume frutto delle ricerche sul fenomeno della criminalità organizzata condotte da un gruppo di ricercatori coordinato da Rocco Sciarrone, professore di Istituzioni di sociologia e processi di regolazione e reti criminali all’Università di Torino, i precedenti sono Mafie vecchie, mafie nuove (2009) e Alleanze nell’ombra (2011), entrambi editi da Donzelli.
Sette regioni: Lazio, Toscana, Lombardia, Piemonte, Emilia, Liguria e Veneto. 232 interviste a quelli che gli autori definiscono ‘testimoni qualificati’: magistrati, forze dell’ordine, associazioni antimafia, associazioni di categoria, sindacalisti, funzionari pubblici, giornalisti. Cento documenti analizzati, fra ordinanze, sentenze e atti giudiziari, a cui vanno aggiunti i rapporti istituzionali periodicamente pubblicati sulla criminalità organizzata. Questi sono i numeri e le fonti di una vera e propria indagine sociologica condotta fra 2012 e 2013 dal gruppo di lavoro capitanato da Sciarrone. Punto di partenza dello studio: uscire dai luoghi comuni e dalle generalizzazioni ormai ampiamente diffuse sull’infiltrazione della criminalità nelle regioni del centro-nord, analizzando il fenomeno con la ‘cassetta degli attrezzi’ degli scienziati sociali e proponendo una metodologia che studia in profondità vicende concrete per poi sottoporle a comparazione.
In realtà sarebbe meglio parlare di ‘fenomeni’ di radicamento al plurale, perché non esiste un solo modello applicabile alle varie realtà, ma un quadro complesso di non facile interpretazione, fatto di tanti tasselli di informazioni che è necessario mettere a sistema se si vogliono comprendere a pieno i meccanismi di funzionamento. Di questo quadro fa parte un’ampia zona grigia, fatta di imprenditori, liberi professionisti, funzionari pubblici, esponenti politici, in cui i criminali, definiti nel libro ‘professionisti della violenza ed esperti in relazioni sociali’, creano il proprio capitale sociale. Per questo è fondamentale avere una prospettiva capace allo stesso tempo di scendere in profondità e di ampliare lo spettro dell’analisi. Come afferma il colonnello Pieroni – 28 anni di servizio in Campania, Calabria e Puglia e la maxi-operazione Crimine contro la ‘ndrangheta reggina all’attivo, prima di diventare il comandante provinciale dei Carabinieri di Ferrara – è fondamentale saper “leggere i segnali perché qui la mafia investe ed entra in punta di piedi e solo dopo si fa riconoscere per quella che è”.
E arriviamo così a un altro spunto interessante, o sarebbe meglio dire allarmante, emerso durante la mattinata: la necessità soprattutto qui al Nord di uscire da un’ottica “mafiocentrica”, come l’ha definita Sciarrone, e acquisire la consapevolezza che questa zona grigia “non è sempre una struttura fatta di cerchi concentrici con i mafiosi al centro”. Spesso, avverte Sciarrone, “si tratta di una rete di configurazioni variabili dove i mafiosi non sono sempre i più forti”: dunque la situazione è ancora più grave e pericolosa perché significa che l’illegalità è talmente diffusa che queste reti ormai “potrebbero funzionare anche senza la mafia”.
Si è poi parlato di quali azioni concrete intraprendere per limitare al minimo l’espansione di queste reti di infiltrazione e radicamento. Antonio Viscomi, docente all’Università di Catanzaro, ha proposto una riflessione in grado di ricomprendere tutte le altre soluzioni in una visione unitaria, per questo il suo è stato il terzo spunto interessante della giornata.
L’area grigia indagata da Sciarrone dimostra l’esistenza di quella che Viscomi ha definito “mafiosità”, cioè di una “cultura mafiosa” diffusa che ci deve spingere a mettere in discussione il nostro comportamento quotidiano e a confrontarci con una forte emergenza educativa su questi temi. Non si può puntare tutto solo sulla legalità: dalla legalità bisogna passare alla responsabilità, nel senso di “farsi carico della comunità in cui si vive”: non è una questione solo di regole, bisogna recuperare il valore dei comportamenti etici come contributo alla costruzione di una società più giusta in tutti i sensi.
“Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”: sapete dove sta scritto?
Sostieni periscopio!
Federica Pezzoli
Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it