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Marco Chinarelli (1954 – 1987), si è dedicato per anni – senza nulla far conoscere agli altri – all’elaborazione poetica, rinvenendo materia viva nella propria vicenda personale. Se n’è andato troppo presto, scegliendo da solo la parola fine. Ci ha lasciato molti ricordi e un fascio di parole. 

Col procedere del tempo, può succedere di ricordare più nitidamente episodi, particolari molto lontani. Momenti incastonati in un periodo (l’adolescenza) pieno di novità, vitale o in fasi di passaggio/transizione (la gioventù) verso una maturità percepita ancora molto lontana.

La scuola superiore, l’Istituto Magistrale Carducci frequentato, vissuto intensamente. Un periodo di formazione alla vita sociale, di relazione, in cui sono nate amicizie che si sono protratte nel tempo, per molti anni. Oggi rimangono alcune sporadiche frequentazioni mentre altre si sono interrotte bruscamente procurandomi dolore, rimorsi, sensi di colpa, riflessioni e difficili elaborazioni del lutto.
Una persona, un amico che ho frequentato, e con cui ho condiviso quegli anni adolescenziali e della difficile crescita verso l’età adulta, è stato Marco Chinarelli.

Ricordo una mattina di febbraio. Lezione di matematica già iniziata. Un paio di colpi alla porta e l’entrata di Marco col cappotto completamente coperto di neve. La profe Tinarelli, increspando leggermente le labbra e accennando un sorriso:”Non avevi un ombrello per ripararti, Marco?”. “Mi si è rotto signora”. “Va bene, vai a scioglierti in fondo”. La neve cadeva sul pavimento mentre il lento incedere di Marco lo portava in fondo alla stanza. Noi si rideva piano e brevemente perché la Tea aveva ripreso in mano la situazione e il piglio severo di sempre che, invece, con Marco vacillava, diventava quasi affettuoso. In molti di noi c’era un silenzioso rispetto verso “China”…

Anche Faccini che ogni tanto si divertiva stupidamente a pungere col compasso, debitamente disinfettato (sic!), le terga di molti di noi, risparmiava i compagni di cui temeva violente ritorsioni, ma anche Marco che non avrebbe mai avuto tali caratteristiche.

Tanti gli episodi, le situazioni di vita quotidiana di una classe che stava elaborando i cambiamenti tumultuosi di fine anni sessanta con un approccio prepolitico, più giamburrascoso che contestatario. Gli scioperi si facevano, ma poi si subivano le sanzioni scolastiche con fatale rassegnazione. Spesso, capitava che Marco si offrisse volontario per farsi interrogare ed evitare ad altri compagni della classe l’avventura del sicuro brutto voto. Non sempre c’era una sua puntuale preparazione quanto, piuttosto, una sua forte capacità dialettica che spesso ‘ipnotizzava’ il docente di turno. Mentre nei compagni di scuola del corso C era accentuata la presenza di simpatizzanti della sinistra anche nelle sue propaggini più ‘rivoluzionarie’, nel corso A e nella mia classe molti frequentavano le parrocchie e/o le sale da ballo. Tra gli assidui frequentatori di parrocchie c’ero anche io ma la trasposizione automatica tra Chiesa e DC mi stava stretta e mi trovavo spesso a frequentare luoghi, ambienti della sinistra giovanile anche più ‘strana’. Ricordo una sera invernale che andai con Marco ad una ‘lezione di marxismo’ nella sede del Partito Comunista Marxista-leninista in Via Gioco del Pallone. Un’esperienza che non fu ripresa perché da entrambi giudicata pacchiana e un insulto allo stesso Marx…

Poi, Marco tentò l’esperienza nel collettivo di Lotta Continua ed io nei Cristiani per il Socialismo e nel PdUP.
Tantissime le volte che ci siamo incontrati ad ascoltare musica, a parlare e discutere di politica. Io pieno di progetti e Marco sempre più lontano e sfiduciato, ma non avrei mai pensato a una fine tragica come quella da lui scelta.
Nonostante ci fossimo scambiati tante idee, pensieri, non ho mai saputo delle sue prove poetiche. Marco ascoltava e commentava le mie poesie con fare spesso affettuoso e canzonatorio ma non ha mai condiviso con me quel  suo segreto, quel suo passaggio stretto oltre il terreno della teoria politica, della militanza. Una politica che per lui era bruciata, piena di bacche marce contaminate dal veleno di Chernobil. La politica era un tutt’uno con la vita e la sconfitta dell’una era la fine dell’altra.
La notizia della sua morte fu come una pugnalata e mi interrogai per molto tempo sulla mia incapacità di capirne il perché e, soprattutto, intuirne la possibilità di quella scelta.

Nel 1988, nella collana Testi della rivista ferrarese Poeticamente, pubblicammo una piccola raccolta di poesie di Marco Chinarelli, curata da Laura Fogagnolo. Testi quasi sempre contrappuntati da una data o senza titolo.
Una narrazione che ha spesso un linguaggio asciutto, senza fronzoli, con accenni di neofuturismo. Un esempio.

Scotch o erba che sia
la mia mente
come una vagina umida
partorisce sogni
di integrazione borghese
Me ne vergogno ogni mattina
davanti a un libro immobile
come un’obliteratrice
staccando il biglietto
per la nuova giornata.

Lo Zen mi annoia e
il Comunismo
mi ronza nelle orecchie
sulle liquide rotaie del Metrò
Lo vedo brillare
su ogni schermo di home Computer
davanti a nudi corrucciati
volti di bambini maniaci.

(da Poesie,  di Marco Chinarelli, Ed. Poeticamente/Testi,1988)

Poesie scelte da un quaderno di appunti dove Marco annotava stati d’animo, tracce di lezioni universitarie, appuntamenti, poesie e diverse recensioni di film dove si mescolavano elementi di analisi della trama e note autobiografiche. L’influenza del cinema sulla lingua italiana, sulla sua modificazione attraverso, anche, neologismi o immagini facilitate dalla frequentazione visiva col nuovo mezzo, tentativi di ‘esplorazioni’ in territori ibridi tra carta e celluloide. Gore Vidal diceva che “i film sono la lingua franca del XX secolo”.

Un esempio di recensione tra il personale ed il narrativo è Fuoco fatuo di Luis Malle.  Chinarelli riporta una frase-testimonianza del protagonista del film: “Mi uccido perché non mi avete amato perché i nostri rapporti erano vuoti. Uccidendomi voglio dare un senso ai nostri rapporti”. Il film ricostruisce minuziosamente gli ultimi giorni di un suicidio. “(…)…ex soldato che non ha voluto scegliere la carriera militare, roso di non aver mai saputo conquistare le donne, neppure quelle che, apparentemente, lo hanno amato.”
Chinarelli prosegue con questa dura annotazione personale: “Il tema presente e scabroso è trattato con una tale delicatezza di tono da renderlo…sopportabile. Anche per chi come me, certe tematiche non le regge emotivamente. Angoscia, angoscia. Non posso, certi argomenti con la freddezza di una persona normale”. Cercava di vedere il mondo, leggere la realtà anche attraverso il linguaggio filmico, alla ricerca di una narrazione che ponesse un freno alla sua deriva ideale.

Un contesto sociale, quello degli anni ’80, dettato dal riflusso crescente, dal successo degli yuppies, da un terrorismo sanguinario che ufficialmente non intendeva gettare la spugna mentre nella penombra trattava con pezzi di Stato vie vantaggiose d’uscita. Nei territori di provincia, Ferrara non faceva eccezione, c’era un clima che tagliava il fiato ai movimenti di base ed a chi faticava a ritrovare l’inizio del filo, in mezzo ad una realtà piena di elementi drammaticamente leggibili dove molti giovani avevano scelto l’abbandono dell’impegno politico a favore di situazioni di autodistruzione e dipendenza da sostanze psicotrope o dall’alcol. Questi contesti psicologici, però, si presentavano, spesso, molto annebbiati, come l’aria ferrarese d’inverno.

Chi non trovava luoghi, dimensioni di gruppo accettabili e in cui sentirsi accolto nella propria diversità, nella propria ricerca d’identità, si sentiva uno scarto umano, un tassello rotto del mosaico sociale. Ricordo una importante ricerca del 1981 della Joseph Rowntree Foundation, in cui veniva chiesto a gruppi di giovani nati nel 1958 di compilare un questionario sul loro stato di salute mentale. Il 7 per cento di quei giovani aveva una tendenza alla depressione non clinica.
In una pagina del quaderno, Marco scrive: ”Abbiamo conosciuto un periodo in cui i valori preminenti erano l’impegno, la testimonianza personale, la pratica dell’andare contro-corrente. Poi, un altro in cui il valore dominante è divenuta l’integrazione. Chi pensa come me che ciò che domina è un soffocante conformismo, ad onta di coloro che parlano di una rinascita dell’individuo? Sofferenza Sofferenza Mentire dover mentire? Mentire a se stessi e agli altri per poter vivere. Per menare questo straccio di vita che ti avvilisce e ti spegne sempre più. Identità? Essere dei diversi senza sapere di preciso in cosa? Malato? Studente? Disoccupato? Psicopatico?”.

A questa consapevolezza sempre più nitida, se ne affiancava un’altra altrettanto drammatica: perché scrivere? Per chi?

Questa sera lasciatemi in pace
perché la poesia mi ha lasciato.
Questa sera lasciatemi solo
perché i vostri volti mi rattristano
abbandonato e solo voglio restare
Non preoccupatevi per me
e non pensate di dovermi aiutare
Come potreste?
La poesia mi ha lasciato solo
Essa è una solitudine con gli occhi
di smeraldo
La solitudine invece
sa solo di neon e di asfalto.”

(Marco Chinarelli, inedito)

Una scrittura permeata da una crescente, inesorabile convinzione di (provare ad) essere un intellettuale fuori posto, in una sorta di spaesamento brutale, un pesciolino rosso senz’acqua. Le continue riunioni, i collettivi, terminali di grandi idee realizzate (forse) altrove, lontano. Il ‘tutto politico’ che rinviava sempre oltre il desiderio personale di un amore che unisse le due sfere.
Versi che riversano un sordo rancore verso compagni che sembravano vivere la politica come un momento adolescenziale, in attesa della maturità che gli avrebbe donato una stabilità esistenziale.
Sentire una crescente angoscia, “quell’angoscia perpetua che limitava ogni progetto all’indomani” (Cesare Pavese).

In amara sintesi, le cose che ti accadevano vicino, le cose, le situazioni dove non riuscivi ad entrare dove, con tutti i tuoi sforzi, non riuscivi a sentirtici parte. Uno scarto, una pietra gettata nell’acqua senza rimbalzi.

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Pierluigi Guerrini

Pier Luigi Guerrini è nato in una terra di confine e nel suo DNA ha molte affinità romagnole. Sperimenta percorsi poetici dalla metà degli anni ’70. Ha lavorato nelle professioni d’aiuto. La politica e l’impegno sono amori non ancora sopiti. E’ presidente della Associazione Culturale Ultimo Rosso. Dal 2020 cura su Periscopio la rubrica di poesia “Parole a capo”.


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it