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Abbottonarsi è un gesto politico assai complesso, non solo fattuale ma anche simbolico. La cerimonia dell’ ‘abbottonìo’ – mi si passi il neologismo- è molto complesso e rivela il carattere del politico che usa la giacca come ‘instrumentum regni’ oppure come simbolo della sua condizione. L’unico pericolo è se la vestizione della giacca – o meglio della giacchetta – per usare il termine toscano a cui si riferisce l’ormai proverbiale ammonimento: “non tiratemi per la giacchetta” – viene effettuata davanti a fotografi e giornalisti che nella frettolosa apparizione del politico riescono ad immortalare solo il lato B dell’indumento di solito stazzonato dall’uso e soprattutto rivelatore attraverso gli spacchetti laterali del tentativo di nascondere forme callipige (consiglio un rapido sguardo al vocabolario per conoscere il significato del desueto vocabolo). Chi esibisce una forma di tal tipo è sicuramente Obama che preferisce e impone una visione della giacchetta dal lato A. Ma lasciando queste non inutili precisazioni veniamo alla cerimonia dell’abbottonìo. Ormai celebre la discesa dalla macchina del giovane Presidente del consiglio atteso per la prima volta da Frau Merkel (espertissima di giacchette, in quanto non passa giorno, da anni, che non ne esibisca una nuova e perfetta) che affannosamente nel tentativo di abbottonarsi sbaglia asola e produce una goffa assimmetria sul suo firmatissimo – e fiorentino – capo di vestiario. Da quella non riuscita esibizione dell’abbottonarsi Renzi preferisce ora la scioltezza della camicia, sempre e solo bianca, come simbolo di apertura che, tuttavia e purtroppo, rivela preoccupanti rotoli di grasso non nascosti dalla camicia fasciante. I due, però, che usano la giacchetta e il cerimoniale dell’abbottonìo con rara perizia sono sicuramente Berlusconi e Alfano. Ma il più spettacolare, l’appena sceso in campo (non calcistico ma politico) Diego della Valle che esibisce, oltre alle sue magnifiche scarpe, sonanti braccialettini in studiata confusione e uno spettacolare collo ‘à la Robespierre’, come si diceva ai miei tempi, tenuto assieme, non a caso, da una fusciacca a mezzo tra pashmina e cravatta. Che si proponga davvero come un Robespierre che mette a posto il giovane Matteo?
Vedete come la presentazione della giacchetta corrisponda a un mix di termini antichi (callipigio, fusciacca) e di moderni ed eversivi (job act, tasse, rumors e tradimenti, quest’ultimo vocabolo sempre attuale in politica).

Pensiamo alla inimitabile cerimonia dell’abbottonamento messa in pratica dall’ex Cavaliere. Si sa che lui predilige il completo doppio petto, lontano ricordo delle sue frequentazioni crocieristiche. Ma questa forma di giaccona più che di giacchetta obbliga a contorcimenti (politici e fisici) faticosissimi. Il travaglio è molteplice perché occorre prima agganciare il bottone interno, indi sistemare la doppia fila di quelli esterni stando attenti – dio non voglia – di chiudere il primo: segno di selvaggiume e cafoneria. Ecco allora il sorriso tirato del Nostro che s’assetta – direbbe Boccaccio a uso e consumo dei fotografi, mentre sul viso stampa il sorriso di rappresentanza sotto il casco non metaforico della rossiccia capigliatura. Se si traspone il rito in mito, ecco che Berlusconi con l’abbottonìo rivela la sua strategia politica fatta di strepitosa convenzione a certi valori – e varianti politiche – che tuttavia dissimulano l’incapacità di attuarli senza il robusto sistema del nascondimento della vera intenzione.

Del tutto plateale, l’abbottonamento di Alfano: meridionale, ampio. Un ruotar di braccia che centra le maniche con precisione millimetrica; indi, con un colpo secco la chiusura della giacchetta. Solo a quel punto fluisce la suadente parlantina che a volte, studiatamente, si trasforma in urletto.

Ma quale è l’abbottonìo che preferisco? Sicuramente quello del Ministro dei Beni Culturali. Franceschini – beato lui – può esibire fisico asciutto e scattante. Come porta la giacca? Anzi! Come non la porta? In modo assolutamente artistico, come ben s’addice a chi regge il ministero a mio avviso più importante d’Italia. Con aria tra l’assorto e il perspicace, l’appende a un dito e con mossa scattante la fa scivolare sulla spalla. A questa novità anticonformistica spero segua una immediata e pronta risoluzione dei terribili problemi che affliggono l’abbandonato giacimento aurifero dei beni culturali. Un caro amico che di questi problemi si occupa senza far sconti a nessuno, Tomaso Montanari, richiesto di un voto di apprezzamento sulla politica del ministro da parte di Conchita de Gregorio, che l’intervistava, ha dato un sei, cioè una sufficienza, rispetto al disastroso punteggio di quasi tutti i predecessori del ferrarese ministro. A questo punto, auspico e spero che la giacchetta appesa al dito del non conformista Franceschini possa, almeno in parte, avviare un processo di riforme tale da ritrovare la via perduta che conduce al tesoro nascosto dell’immenso patrimonio della cultura italiana.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it

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