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di Giovanna De Simone

“Ciao Isa!”, video-chiamo la mia amica del cuore che abita solo a quindici minuti di bicicletta da qui, ma che ora è distante come anni luce.
“Ciao!”, mi risponde in tuta di felpa rosa, secondo me la stessa che usava alle medie, dalla cucina buia della sua casa. “…scusa”, mi chiede sospettosa, “ma dove sei, che quel posto lì non l’ho mai visto? Confessa! Sei uscita di casa!”.
Oggi è l’innumerevole sabato pomeriggio di isolamento nazionale. Nel Mondo di Fuori è sbocciata una meravigliosa primavera che mai nella storia recente aveva degnato il mese di marzo di cotanta grazia, e io non so neanche come abbia fatto ad arrivare fino a questo punto senza aver compiuto una strage familiare degna dell’Overlook Hotel.
Durante la settimana riesco ad attutire il peso della reclusione perché ne evado legittimamente, andando al lavoro. Nel mio tragitto a piedi fino all’ufficio, scorgo le tendine delle finestre che si scostano e gli sguardi invidiosi dei più, che non hanno avuto il permesso premio.
Ma durante il week end, quando anche i supermercati sono chiusi, quando hai rinvasato anche le piante dei vicini, quando hai pulito dopo quindici anni il garage e la cantina, ti accorgi che gli spazi domestici sono diventati improvvisamente troppo stretti. Una frase del Talmud diceva che gli esseri umani sono come le olive, solo quando vengono schiacciati esprimono il meglio, così oggi sono andata in esplorazione dell’immenso condominio in cui abito.
“Eh no cara mia, non sono uscita oggi!” sorrido attraverso il telefonino alla mia amica, con il vento tra i capelli. “Ho scoperto che ho un terrazzo condominiale!”
Più che un terrazzo, è una colata di cemento, eternit e cacche di piccione, posta alla sommità di questo mostruoso palazzone di sessanta unità che deturpa, come una ferita, il glorioso ingresso dei Duchi nel medioevale centro cittadino.
Per disattendere l’immaginario della maggior parte dei cittadini che lo conoscono, esso non è un blocco di cemento armato, monolitico e compatto anche al suo interno. Il centro del palazzone è invece un tondo vuoto in cui si affacciano i balconi delle cucine delle sessanta famiglie che lo abitano.
La bugadara, in quest’epoca di coronavirus, è quanto mai popolata di un umanità di cui prima non ci era mai accorti.
Ah…ma la dirimpettaia del 4 piano, così seria ed integerrima, si fa le canne?!?
Ma quant’è carino lo studente di fronte?
E da dove l’ha uscita la moglie, quel cretino che abita sopra? Mai vista in quindici anni. La teneva chiusa in soffitta?
I primi saluti, mentre si stendevano le lenzuola, sono iniziati solo dopo il quinto giorno di reclusione. Era un sabato di sole e la fame d’aria ci aveva fatto affacciare tutti alla bugadara.
Chi stendeva le tende, chi dipingeva le ringhiere, chi travasava le piante, altri semplicemente prendevano il sole.
Dalle finestre aperte delle cucine arrivavano profumi di ragù alla sedicesima ebollizione e musica. Qualcuno canticchiava.
“Signora Tinaaaa!”, mi urla la vicina del piano di sotto. Mi affaccio che sto quasi per cadere.
“Salve signora Anna!”
“Volevo ringraziarla per la pianta che mi ha messo ieri davanti alla porta. E’ bellissima!”
“Di niente”
“Senta, sto facendo i maccheroni pasticciati. Ne vuole due porzioni? Gliele metto davanti alla porta.
Tutta la bugadara ascolta interessata e partecipe.
“Scusi lei”, urla il vecchietto della scala B dal terzo piano. “Lei che sta armeggiando con lo smerigliatore”
“Si?”, il novello sposino alza lo sguardo. “Salve, mi dica”, dice così piano che tutta la bugdara di sporge dai balconi per ascoltare.
“Quando ha finito con quella finestra, non è che me lo può prestare?”
“Ma certamente! Ma…come faccio a darglielo? Abita dall’altra parte del palazzo!”
“Guardi, me lo può lasciare stasera vicino ai bidoni della spazzatura. Verso le 21.30…”, poi si gira verso la platea tutta della bugadara, “e che nessuno me lo prenda!”.
Alle 21.30, dopo l’ultima sigaretta affacciati al balcone, le sessanta famiglie della bugadara si augurano collettivamente la buonanotte.

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Redazione di Periscopio



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