Di Daniele Vecchi
In merito al problema dei “voucher” in agricoltura, la cui reintroduzione è stata auspicata da Alcide Mosso, conformemente alle richieste di tutte le associazioni degli imprenditori agricoli (oltre che da Stefano Bonaccini con una dichiarazione del 31 marzo), non riesco a capire l’ostinata avversione di CGIL,CISL e UIL, dato che i “voucher” sono nati per tutelare i lavoratori irregolari, che in antecedenza lavoravano “in nero”. E grazie ai “vocher” sono emerse numerose posizioni prima sconosciute all’INPS e all’Ispettorato del Lavoro.
Con le cautele del caso non è sbagliato affermare che il lavoro effettuato con i “voucher” potrebbe garantire un aumento del dato occupazionale in agricoltura ed una regolamentazione legittima di altri settori, non particolarmente considerati dal mercato del lavoro. Incentivare l’utilizzo di questo strumento appare oggi utile, laddove il costo del lavoro è rimasto molto alto ed oneroso per i committenti. Come ha scritto la Prof.ssa Angela Marcianò, docente di Diritto del Lavoro presso l’Università di Messina, “il significativo rapporto, pubblicato da Eurofound nel 2015 ha evidenziato come la flessibilità lavorativa possa risultare importante non solo per la parte datoriale, ma anche per taluni prestatori di lavoro. Nel caso dei voucher agricoli è emerso che molti lavoratori continuano a preferire il pagamento mediante “buoni lavoro” [cioè i “voucher] perché la prestazione lavorativa serve loro solo per arrotondare lo stipendio principale o sostenere gli studi, a non essere vincolati per molto tempo e per giunta senza incidere sullo status di disoccupazione”.
Alla luce di queste osservazioni non riesco a comprendere, se non per motivazioni di ordine ideologico,l’avversione di CGIL,CISL e UIL a uno strumento che potrebbe ridare ossigeno all’agricoltura specie in tempi di crisi come quelli che stiamo vivendo.
Il “voucher” avrà i suoi limiti ma non si può avere sempre tutto. E,come dicevano i Romani, il meglio è nemico del bene…
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