Le donne sono impegnative. Hai due strade, o le usi o le ami. Se le ami, è tutto molto complicato perché in ogni scelta e in ogni parola è come andare a cercare il pianeta giusto nello spazio siderale. E tu puoi approntare tutte le astronavi che vuoi, ma non sai mai se e quando ci prendi. Perché quando arrivi, magari devi aspettare che il pianeta donna riemerga dal passaggio dietro alla stella che te l’ha nascosta. Se le usi, te ne freghi di quello che può volere la donna, non devi cercare niente, non è impegnativo, sei fermo e ti basta.
Giro questo messaggio, scritto da un amico, a mezza rubrica, a quelle amiche-pianeti guardate da molto lontano da uomini che non erano propriamente argonauti. Mi risponde subito S., riemersa e nascosta migliaia di volte, e che troppo spesso si è sentita dire sei impegnativa. Meglio, penso io. Ora lo sa anche lei che non è un difetto, ma un tratto distintivo che le fa perdere meno tempo. Mi racconta di avere chiuso da poco una storia perché, dopo qualche mese, il saldo era negativo.
“Ho messo in fila le cose, tirato una riga e il risultato non mi è piaciuto”. Le faccio notare che il suo lessico e le sue azioni stanno cambiando: un tempo, quel saldo negativo lo avrebbe visto, ma ignorato, sarebbe andata avanti illuminando e oscurando a piacere una storia. Avrebbe continuato, insomma, a ‘sotterrare i pensieri’, come diceva Natalia Ginzburg.
Ora, senza quasi accorgersene, fa una specie di contabilità non scritta, ma efficace. Tira una riga, non indugia più, non scusa e non accusa. Rimane un pianeta raggiungibile solo da chi può.
Poi, quanto all’amare o usare, concordiamo che sia proprio così e una scelta porta al movimento, l’altra fa rimanere fermi. Ma, a pensarci, dissento su una cosa con l’amico che mi ha scritto il messaggio: credo sia impegnativo anche il ruolo di chi usa perché serve la costruzione di una maschera fissa e ripetitiva, un personaggio, quasi un mestiere che, col tempo, si fa usurante e sempre meno interessante.
Siete mai riusciti a tirare una riga guardando lucidamente una storia? E quante maschere avete incontrato?
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Riccarda Dalbuoni
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