PANDEMIA E CLAUSURA
La parola ai ragazzi: Maria, Klea, Giorgia, Iris
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Nell’articolo che ho scritto qualche giorno fa su ferraraitalia [Qui] mi ponevo il problema di come vivono, cosa sognano i bambini e i giovani in questo lungo e strano periodo di pandemia. Si è praticamente chiuso il loro rapporto diretto con la scuola, con lo sport, con i loro interessi e con gli amici, stravolgendo le relazioni interpersonali che facevano parte del loro quotidiano. Me lo sono chiesta anche perché, sfogliando la rassegna stampa dal mese di febbraio ad oggi, di scuola, di ragazzi e di insegnanti si è parlato ben poco. Quel che è certo è che tutte le scuole e i servizi educativi resteranno chiusi almeno fino a settembre. Nell’articolo dicevo che mi sarebbe piaciuto più di ogni altra cosa – abituata come sono a pensare al valore della educazione permanente e dell’apprendimento in qualsiasi momento della vita, basato anche e soprattutto sulla qualità delle relazioni fin dai primi anni di vita – sapere cosa pensassero di questa nuova condizione i nostri bambini, i nostri giovani, costretti loro malgrado a starsene in casa, agganciati perennemente alla comunicazione in rete. Credo sia importante sentire la voce dei giovani, dei ragazzi e delle ragazze, dei bambini e delle bambine. Ho raccolto alcune testimonianze, che vorrei condividere su questo network, alcuni spunti e riflessioni che ritengo utili a sollecitare un approfondito confronto.
MARIA – 10 anni da Milano:
“Questo articolo secondo me è molto, molto bello. Tratta argomenti veritieri e di cui si dovrebbero occupare tutti. Mi è piaciuto molto il fatto che la signora Bondi abbia cercato il parere dei bambini. Non molti adulti infatti prendono in considerazione il nostro parere. Ma sbagliano. Secondo me, la voce di un bambino, piccolo o grande che sia, è priva di favoritismi e quindi più sincera. Lo dico in tutta sincerità, non credo che questa sia la ‘semplice diffusione di un virus’, questa è una pandemia! Ed è anche grave! Quindi penso che sia doveroso fermare questo mondo. La colpa non la do a nessuno, neanche al virus. Espandersi è nella sua natura e noi non dobbiamo e non possiamo dare la colpa a lui. Anche se dobbiamo impegnarci per sconfiggerlo. Il web sicuramente aiuta molto ma, essendo una persona che riesce anche a stare in solitudine, non credo sia cosi necessario. I miei insegnanti hanno iniziato relativamente tardi a fare le video-lezioni; una settimana dopo l’inizio della quarantena hanno inviato i compiti sulle piattaforme scolastiche, ma solamente ieri hanno iniziato a fare le video-lezioni. La scuola secondo me sta facendo quello che deve fare, cioè continuare a fare lezione. Certo, se facesse qualcosa in più le sarei grata, per esempio interrogarmi, perché io adoro essere interrogata. Sento la mancanza delle relazioni dirette, anche se riesco a parlare con quattro/cinque amici, che però sono ‘veri’. Il telefono con le video-chiamate aiuta, ma ovviamente non è lo stesso rispetto al parlarsi faccia a faccia. Sarebbe importante che le scuole riaprissero –naturalmente in sicurezza- e che i ragazzi provassero insieme ai loro insegnanti a rivedere il modo di fare scuola .Bisognerebbe iniziare già da subito ad adattarsi a questa nuova situazione.
Il futuro sicuramente non sarà lo stesso, perché come ogni malattia, questo virus lascerà il segno e probabilmente, quando se ne andrà, dovremmo attenerci a precauzioni molto più rigide. Ma personalmente penso che alla fine dovremmo accettarlo. Perché non mi faccio mica delle illusioni: è naturale che non tornerà tutto come prima. Penso che il comportamento umano debba e possa cambiare, usando le misure restrittive e stando molto attenti all’igiene personale. Sicuramente stare più attenti a se stessi e agli altri.
La lettura mi aiuta molto soprattutto perché io la adoro. Inoltre penso che molte persone stanno abusando della tecnologia; insomma è utile, certo, ma pensiamo magari ai videogame: molti bambini giocano alla playstation due o tre ore nei tempi normali, ma adesso ci giocheranno molto di più, fermandosi solo per dormire, mangiare e occasionalmente fare i compiti. E questo non credo sia salubre. In queste settimane ho notato che molte persone danno molta più importanza a coloro con cui parlano, persone che prima quasi non consideravano, passandoci anche delle ore. Quindi penso che almeno una cosa positiva c’è nelle relazioni: stiamo iniziando a dare importanza a ciò che prima consideravamo superfluo e scontato.”
KLEA PEROCI – 15 anni liceale di Ferrara:
“Ritengo fermamente che il lockdown, a cui siamo stati sottoposti sia dovuto ad una tutela della salute pubblica e perciò assolutamente lecito. Sarebbe più appropriato parlare di mancata responsabilità della gente, più che di colpa effettiva. Infatti, ad oggi, dopo quasi due mesi da quando è stata dichiarata la situazione di emergenza da Covid-19, il numero dei contagiati rimane elevato. Alla luce di ciò, si deduce che i decreti non siano stati adeguatamente rispettati da una parte della popolazione. Per quanto riguarda i sistemi comunicativi, sicuramente il web rappresenta uno strumento attraverso il quale è possibile continuare ad intrattenere le relazioni personali. Tuttavia non sostituisce affatto il contatto diretto. Purtroppo sono costretta ad affermare che utilizzo maggiormente la comunicazione virtuale, a discapito della lettura. Infatti, avendo numerosi impegni scolastici, i momenti in cui mi fermo a leggere un libro sono quantomeno rari. Raramente mi ritrovo a discutere con la mia famiglia di quanto mi manchino le mie amiche ed i miei compagni di classe, ma credo che se ne rendano conto dal fatto che spendo parecchie ore della mia giornata, chiacchierando con loro in video-chiamata. Al momento svolgo le video-lezioni esclusivamente con l’insegnante di matematica e fisica e con la docente di italiano e storia. Senza dubbio, la mia realtà attuale non corrisponde a quella a cui si assisterebbe in classe. L’immagine dell’insegnante, appiattita sullo schermo del mio pc, non coincide con l’insegnante ‘in carne ed ossa’, così come chiedere la parola, attivando un microfono, non sostituisce l’alzata di mano durante la lezione. Ritengo che il comportamento umano possa cambiare, anzi sarebbe auspicabile un tale cambiamento. Spero che gli uomini imparino ad essere più rispettosi nei confronti del prossimo, meno intransigenti ed indifferenti rispetto a quello che li circonda, e che imparino a non sottovalutare l’importanza dei piccoli gesti, capaci di renderli felici.”
GIORGIA – 17 anni, studentessa liceale di Ferrara:
“In questo periodo di reclusione, non posso vedere le mie migliori amiche, i miei parenti. Tuttavia, grazie ai social media, posso sentirli ogni giorno. Ritengo però che ciò non sia assolutamente un ‘degno sostituto’ delle relazioni sociali ‘dal vivo’: preferisco mille volte abbracciare una persona a cui voglio bene, chiacchierarci per ore, uscire a prendere un gelato in centro…Ma dato che ora non posso farlo, almeno cerco di mantenere i contatti. Vivendo con i miei genitori, ho comunque un po’ di compagnia e discutiamo spesso di questa situazione così ‘paradossale’: dobbiamo solamente resistere e pensare positivo, non facendoci contagiare dal panico collettivo, che talvolta si intravvede nella gente, anche solo appena si esce di casa. Questo periodo di quarantena, può essere un periodo di intensa riflessione, che può cambiare a livello interiore, ma non solo. A livello esteriore, fisico, si può cercare di mangiare più sano, facendo attività fisica, o in ogni caso dedicarsi alla lettura, oppure ascoltare la musica o, ancora, suonare uno strumento. Questo può aiutarci molto a capire il mondo. Nei nostri atteggiamenti, anche verso gli altri, bisognerebbe incoraggiare la solidarietà, il rispetto, l’educazione, che purtroppo sono spesso tralasciati dagli adolescenti, ma anche dagli adulti (e ciò è ancor più grave). A mio parere, questa pandemia è come se fosse un modo da parte di Mother Earth di dirci di fermarci, perché stiamo esagerando: inquinamento, surriscaldamento globale… La scienza ci dice che, riducendo gli spostamenti per via della quarantena, è possibile diminuire l’intensità dei fattori inquinanti e alcuni grafici ci dimostrano quanto sia notevole il cambiamento rispetto a prima. Questo deve servirci da incentivo a comportarci meglio anche nei confronti dell’ambiente. Eppure, persino in questo difficile periodo della nostra vita, che stiamo vivendo tutti insieme (e forse questo ci rende meno soli), io riesco a sperare in un futuro diverso: un futuro in cui possiamo tornare ad abbracciarci, ad uscire insieme, a viaggiare e visitare i posti più belli del mondo. Ma non tutti la pensano come me: molti ragazzi della mia età sono più pessimisti e non riescono, in questo momento e in queste circostanze, ad intravvedere un loro futuro. Suggerirei, a chiunque di prendere questo periodo come un momento di riflessione, di meditazione, un modo per conoscerci meglio e cercare di migliorarci, di essere sinceri con noi stessi ed accettarci per ciò che siamo.”
IRIS – 17 anni studentessa liceale di Ferrara.
“…Nonostante non frequenti la scuola oramai da un mese, le attività scolastiche proseguono a distanza e tengono impegnati gli studenti di tutta Italia. Tutte le mattine frequento le lezioni, anche se comodamente da casa e non vi sono variazioni rispetto al carico di compiti assegnati. Probabilmente gli insegnanti desiderano conservare gli stessi schemi della vita quotidiana, da noi spesso sottovalutata e di cui sentiamo sempre più la mancanza. In effetti, mi chiedo perché riusciamo ad apprezzare ‘la normalità’ solo quando questa viene a mancare. Passiamo il tempo a lamentarci degli innumerevoli impegni scolastici, che sottraggono tempo prezioso alle attività che più preferiamo svolgere, senza renderci conto dell’importanza che esercitano su di noi un’amichevole chiacchierata a scuola, una battuta che scatena grasse risate, o una passeggiata in bicicletta. Attività semplici, quasi banali, ma essenziali. Tuttavia, devo anche sottolineare che è stato proprio durante queste ultime settimane che ho riscoperto il piacere di guardare un film in famiglia, di dedicarmi alla lettura di un libro, di rispolverare un gioco da tavolo e tanto altro. Talvolta mi sono fermata a riflettere e mi sono convinta che l’emergenza da coronavirus rappresenta una vera e propria lezione di vita. È in queste situazioni che scopriamo di non essere invincibili, ma fragili e vulnerabili. Ripensiamo a quanto avremmo potuto essere più pazienti, più cortesi, più generosi nei confronti del prossimo, così come molti paesi hanno dimostrato in questo periodo (Cina, Russia, Cuba e Albania), inviando staff medici in soccorso dell’Italia. Altri ancora si sono mobilitati donando al nostro paese milioni di mascherine e preziose attrezzature sanitarie. Sempre più spesso, mi tornano in mente gli appelli di medici e scienziati di non vanificare lo sforzo sanitario restando in casa. Dunque una questione di responsabilità e altruismo: tutelare tutti coloro che curano e che tutti i giorni rischiano la propria vita. Tuttavia, devo ammettere che l’immagine che più di tutte mi ha commossa è stata quella di vedere i due paramedici del Magen David Adom, il servizio di soccorso sanitario israeliano, pregare insieme. Uno ebreo, Avraham Mintz, in piedi e rivolto verso Gerusalemme, e l’altro musulmano, Zoher Abu Jama, in ginocchio con il volto in direzione della Mecca. Riporto le parole di quest’ultimo, degne di nota: “Questa è una malattia che non fa distinzione di religione o di altro genere. Le differenze le mette da parte. Lavoriamo insieme, viviamo insieme; questa è la nostra vita. Il virus non fa distinzioni di età, sesso, razza e religione, perché noi uomini invece siamo sempre propensi a farle e spesso in senso negativo?”
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Loredana Bondi
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