Skip to main content
11 Aprile 2020

Spiando da un oblò

Tempo di lettura: 5 minuti


Da: MLB Maria Livia Brunelli Gallery

Un saluto dal profondo del cuore da una Ferrara deserta e incredibilmente bella nella dolce aria primaverile.
Spontaneamente alcune artiste che seguiamo stanno facendo, in silenzio e senza che nessuno glieli chieda, lavori ispirati da questo periodo di quarantena. Utilizzano il tempo lento dell’autoscatto, della meditazione nella natura o tecniche legate alla manualità femminile. Ci sembrano lavori molto intensi e per questo abbiamo pensato di condividerli, anche se sono serie inedite e ancora in fieri. E’ come “spiare da un oblò”, per usare una metafora molto adatta a questo periodo in cui ci affacciamo spesso alla finestra…dalla nostra in Corso Ercole d’Este abbiamo visto passare il corteo di carri militari provenienti da Bergamo e diretti al cimitero di Ferrara. Una visione inaspettata che è stata una lancia dritta in mezzo al cuore. Ma vediamo anche i fiori sui balconi e sentiamo cinguettare gli uccellini che ora si posano indisturbati e audaci sui davanzali.
Tante emozioni, forti, contrastanti.

Per molte donne, per molte artiste, in questo periodo di quarantena l’autoritratto fotografico femminile è un mezzo privilegiato per indagare questo inevitabile tumulto di emozioni all’interno della propria quotidianità domestica.
Lo dimostrano chiaramente gli ultimi lavori inediti realizzati da Anna Di Prospero. L’artista ha ora 31 anni ed è da poco diventata mamma.

I nuovi scatti ci emozionano perché sprigionano la forza del contatto umano, la poesia della luce. “Ho iniziato a realizzare queste fotografie per trovare un equilibrio in questa nuova e inaspettata realtà. Ho sempre utilizzato la fotografia per esaminare ed elaborare stati e circostanze. Il mio primo progetto fotografico realizzato nel 2007 era ambientato nella mia casa. Oggi, a distanza di 13 anni, torno a fotografare gli spazi domestici ma con un approccio profondamente influenzato dallo stato di isolamento che riguarda metà della popolazione mondiale. I momenti che rappresento nelle fotografie sono ispirati da un sentimento personale ma con l’intento di rappresentare e trasmettere uno stato d’animo collettivo. Questo infatti è un momento storico in cui, seppur lontani, ci sentiamo tutti più uniti da una condizione senza precedenti che ci lega e accomuna”.

Un’altra riflessione interessante sulla quarantena è quella di Simona Ghizzoni, un’artista attivista impegnata anche sul sociale (con grande sensibilità ha indagato temi delicati come l’anoressia o le mutilazioni genitali…), di cui abbiamo esposto alcuni autoritratti nella mostra “Chi sono io?” ispirata all’omonimo libro di Concita De Gregiorio alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia.
“Abbiamo vissuto la nostra vita partendo dal presupposto che ciò che fosse buono per noi sarebbe stato buono per il mondo. Ci siamo sbagliati. Dobbiamo cambiare la nostra vita in modo che sia possibile vivere secondo il presupposto contrario: ciò che è buono per il mondo, sarà buono per noi. E questo richiede che facciamo lo sforzo di conoscere il mondo e di imparare ciò che è buono per esso” (Wendell Berry, “The Long-Legged House”, 1969).
“Poco dopo la dichiarazione dello stato di emergenza in Italia – racconta Simona Ghizzoni -, io e la mia famiglia abbiamo deciso di spostarci da Roma verso Nord per avvicinarci ai miei genitori, anziani e soli.
Ci siamo trasferiti a vivere sull’Appennino tosco-emiliano, nella casa che fu dei miei nonni materni, un luogo che per me è sempre stato rifugio e consolazione.Siamo arrivati dopo cinque ore di viaggio senza soste, con la macchina carica del minimo indispensabile per me, il mio compagno Stefano e nostro figlio di due anni Ernesto e i viveri sufficienti per un paio di settimane.La vita qui non è semplice, molto diversa dalla vita cittadina. Abbiamo poco, pochissimo. Del resto, erano anni che riflettevamo sulla non sostenibilità della nostra vita.
Da lungo tempo si addensavano le preoccupazioni per il futuro di nostro figlio a causa del cambiamento climatico e sempre più forte si faceva la sensazione che qualcosa di grave sarebbe successo. La nostra specie ha trasformato il mondo, pretendendo di non farne parte. Illusione che la pandemia ha smentito all’improvviso. Torneremo alle nostre vite? Potremo fare finta che nulla sia accaduto? Questo abituarci a vivere con poco o nulla ci insegnerà qualcosa? Ancora non so, ma certamente le decisioni che abbiamo preso in questo momento di emergenza potrebbero impostare per noi un nuovo futuro”.

I retablos e le fotografie di Barbara Capponi, artista che di recente abbiamo esposto al Museo di Storia Naturale di Ferrara, sono illuminazioni nate in mezzo alla natura. Sono piccoli mondi ideati tra Roma e Monterosso, dove lei ha la fortuna di abitare nientemeno che nel parco di Eugenio Montale, dove ogni anno raccoglie i limoni dall’albero reso celebre dalla poesia “I limoni” (e ci fa la marmellata). Sono ironici e profondi insieme…
“Da bambina facevo disegni minuscoli. Con i miei animaletti di plastica ho giocato per ore sulle lande infinite del tappeto di lana blu della mia stanza.Quando ci soffermiamo sulle cose piccole capiamo quanti mondi infiniti siano contenuti dentro il nostro mondo, ed è impossibile non avvertire una vertigine cosmica. Ecco la scena: noi stiamo osservando qualcosa, chini su un dettaglio, dentro una stanza dentro una casa dentro un palazzo dentro una città, sulla scorza di questa palla magica che viaggia nello spazio a cui siamo tutti fortunosamente abbarbicati, che ci nutre e ci mangia. Ma c’è quasi sempre un ingrediente che ci tiene caldo, che è l’umorismo. Qualche volta è ironia, qualche volta è humor nero e allora nel calore filtra uno spiffero freddo. I retablos ci vogliono dire che noi esseri umani e le altre creature sulla palla magica siamo parenti stretti. Schegge di vita in viaggio insieme. E anche se non parliamo la stessa lingua, non signifca affatto che solo noi abbiamo una lingua, una cultura, emozioni e sentimenti. Il mondo è pieno di misteri. Ed è solo la nostra ignoranza che ci fa sentire su un piedistallo”.

E infine Ketty Tagliatti, nell’isolamento della sua casa di campagna, ha iniziato da settimane a realizzare mascherine all’uncinetto…sempre più perfezionate per permetterne il riutilizzo e l’inserimento di filtri. Non sa ancora se per un reale uso o per un’installazione, ma procede con tenacia e determinazione. “E’ nato come lavoro sull’esigenza di protezione individuale che diventa armatura, difesa. Però la tecnica manuale dell’uncinetto lo sdrammatizza e lo rende domestico e caldo. Finora ho realizzato quattro mascherine, perfettamente aderenti, foderate e con la tasca per il filtro. Mi ha colpito molto un articolo su una studetessa che sta cucendo gratuitamente mascherine per i non udenti, e l’ultima mascherina l’ho realizzata su sua ispirazione: ha una parte trasparente per lasciar vedere la bocca e permettere quindi di leggere il labiale. Quasi a voler proteggere la parola, contenerla, trattenerla con un coperchietto rimovibile. Queste mascherine sono come delle piccole armature protettive, che dovremo abituarci a inserire nei nostri accessori quotidiani, per la sicurezza di tutti. Ma diventano anche un lavoro sull’identità, sulla protezione intima della nostra identità”.

sostieni periscopio

Sostieni periscopio!

tag:

Riceviamo e pubblichiamo



Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it