DOPOELEZIONI
La cometa del 26 gennaio ha portato molti doni,
ecco perché Ferrara è rimasta a bocca asciutta.
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Molti, moltissimi, i commenti del Dopoelezioni. Si sapeva che mai prima d’ora una elezione parziale, anche se in un territorio importante come l’Emilia Romagna (senza nulla togliere alla Punta dello Stivale), avrebbe significato qualcosa di tanto decisivo per tutto il Paese. Così è stato.
Tutto il quadro politico nazionale è stato investito dal sisma emiliano e ne ha registrato le conseguenze. La pesante battuta d’arresto per una parabola salviniana che sembrava puntare diritto in cielo, la definitiva liquefazione del Movimento Pentastellato, qualche pastiglia ricostituente per un Partito Democratico in perenne ristrutturazione, infine, un probabile scampolo di vita per il traballante Governo Conte. E’ indubbio, le elezioni emiliane hanno portato in dono queste quattro cose: dolcetti per gli uni, carbone per altri.
Eppure, a guardar bene, queste 4 cose non sono le più importanti, E’ successo qualcosa di molto e di più. Mentre infatti i quattro effetti ricordati segnano un contingente (e forse effimero) cambiamento degli equilibri politici, un riposizionamento delle strategie dei partiti e dei vari leader, una grande cosa è successa sotto i nostri occhi, un fatto nuovo destinato a segnare profondamente la società italiana. Dopo svariati anni in cui il vento di destra ha soffiato, con una tale violenza che sembrava non trovare nessun ostacolo di fronte a sé, da un paio di mesi si è levato un vento uguale e contrario. Non proprio uguale: il vento populista, sovranista, egoista, assomigliava (e assomiglia) a una tempesta, a una rabbiosa bufera, mentre Il vento messo in moto, forse inconsapevolmente, dalle prime quattro sardine bolognesi, sembra piuttosto una brezza leggera, gentile e nonviolenta, pacifica e pacifista, accogliente e pluralista.
Bene ha fatto il Segretario del Partito Democratico, nella stessa notte di domenica, a ringraziare in primis Le Sardine e il grande risveglio che hanno saputo suscitare. Lo stesso ha fatto il neoeletto Stefano Bonaccini, anche se con meno enfasi e forse minor simpatia. Ringraziamenti assolutamente doverosi perché, ed è bene scolpirselo in testa, Bonaccini non avrebbe vinto, non ce l’avrebbe fatta senza quella brezza leggera, senza quel grande movimento che ha riempito le piazze e acceso un nuovo protagonismo.
In Emilia Romagna Stefano Bonaccini ha lasciato indietro Lucia Borgonzoni di quasi 8 punti. Una vittoria netta, indiscutibile, superiore ad ogni previsione. Matteo Salvini ce l’ha messa tutta, ha battuto la regione palmo a palmo, dalla Riviera Romagnola a Bibbiano, lanciando pubblici avvertimenti e suonando privati campanelli, ma la sua candidata è naufragata nelle urne. L’Emilia Romagna (scusate, non posso nascondere un filo di orgoglio) si è dimostrata ancora una volta un baluardo della democrazia e dei valori costituzionali. L’avanzata populista della Nuova Destra si è trovata davanti un argine invalicabile e ha dovuto arretrare. Questo è il primo, fondamentale successo, che in molti oggi celebriamo. A cui ne aggiungerei un secondo: l’exploit di Elly Schlein, la più votata in assoluto in regione, con oltre 22.000 preferenze, e nonostante fosse la capolista non di uno squadrone di partito ma di una piccola lista di sinistra collegata. Elly Schlein entrerà in Consiglio Regionale e ci porterà un po’ di quella brezza leggera. L’unico rammarico è che, se tutto il Centrosinistra avesse scelto di puntare su di lei, se oggi potessimo festeggiare in lei la prima Governatrice donna, non saremo a festeggiare solo lo stop alla Destra, ma l’inizio di un nuovo corso, l’apertura cioè a quel cambiamento radicale di cui la Sinistra ha un disperato bisogno.
Dentro questa grande festa, non tutti possono gioire. Se Bologna, Modena, Reggio Emilia si sono ‘slegate’, votando in massa contro il populismo e ricacciando indietro la Lega e i suoi alleati, la nostra Ferrara è rimasta saldamente in mano al Centrodestra. Lo stesso Centrodestra che nel maggio scorso aveva vinto a mani basse le elezioni comunali.
Sul triste destino di Ferrara – e sulla sua figura vergognosa, come denuncia Giovanni Fioravanti su questo giornale [qui] – ho ascoltato molti lamenti, e anche qualche tentativo di spiegazione. Perché la Lega di Salvini e i suoi uomini (Alan Fabbri e Naomo Lodi in testa) sono riusciti a conquistare stabilmente il favore della maggioranza dei ferraresi? Un caro amico vede in questa resa alla Destra radici antiche. In poche parole, dietro la Ferrara democratica e antifascista, dietro la Ferrara governata per Settant’anni dal Pci e dai suoi nuovi avatar, dietro – ma nemmeno tanto – c’è ancora la Ferrara culla del fascismo. La Ferrara che nel giro di due o tre anni si trasformò da inespugnabile roccaforte socialista in città fascistissima. La tesi di questo amico, pessimista o semplicistica la si voglia giudicare, suona come una sentenza, una condanna della storia. Ferrara diventerebbe la peggiore incarnazione della nostra tara nazionale, il trasformismo, essendo passata con imbarazzante disinvoltura dal socialismo turatiano, al fascismo di Italo Balbo, al comunismo di Togliatti, per giungere oggi al leghismo proto-squadrista di Naomo. Un viaggio lungo un secolo: dalla Destra… alla Destra.
Il discorso è assai scomodo, e meritevole di approfondimenti. Lo dico a chi nella nostra città coltiva la passione per la storia. Personalmente però non mi sento di aderire a questa lettura; ne uscirebbero dei ferraresi ‘geneticamente tarati’, impermeabili al libero arbitrio e alla responsabilità individuale.No, non siamo così. Non siamo peggiori degli altri italiani.
Le ragioni del ‘ritardo politico’ di Ferrara e dei suoi abitanti, mi sembrano avere radici più recenti. Stanno in buona misura nel ritardo – nella miopia, nel conservatorismo, nella pigrizia – della sua classe politica, e segnatamente nella classe dirigente del Partito Comunista ferrarese e dei partiti che l’hanno via via incarnato dopo la svolta della Bolognina. Con rare eccezioni, i leader locali della Sinistra e i candidati selezionati per tutte le elezioni per sedersi negli scranni del Consiglio Comunale, Provinciale o Regionale, fino ai ‘posti sicuri’ in Parlamento, non hanno mai rappresentato e dato voce alla necessità del cambiamento. Brave persone, oneste, ma sempre polli allevati alla disciplina del partito e del sindacato. Chi proponeva nuove idee, chi chiedeva nuove regole, ma razzolava fuori dal pollaio, è stato sistematicamente accantonato.
Da qui – o almeno, anche da qui – la mediocrità della Sinistra Politica ferrarese, la sua autoreferenzialità, la sua incapacità a rapportarsi e valorizzare la ricchezza della società civile, e corre dirlo, anche la sua superbia. E dove lo mettiamo il Buongoverno? Certo, ma il mondo va veloce e alla fine il Buongoverno non basta (vale anche per Stefano Bonaccini che non ha vinto per il suo Buongoverno). Anche alle ultime elezioni a Sindaco il Pd ferrarese si è presentato all’insegna della continuità, riproponendo il vecchio: sia nei programmi sia nei candidati. E per queste elezioni regionali, a Ferrara la musica non è affatto cambiata. Con tutto il rispetto, chi può sostenere che la candidata di punta Marcella Zappaterra, già assessore a Portomaggiore, già Presidente Provinciale e ora eletta in Consiglio Regionale, rappresenti in qualche modo il nuovo che avanza?
Ora il pollaio è vuoto. Il Partito Democratico di Ferrara è ridotto ai minimi termini. C’era un segretario che aveva aperto un dialogo aperto e coraggioso con la società civile; è stato prima sconfessato, quindi sostuito. La sinistra a sinistra del Pd si diletta in un inutile e suicida tiro al bersaglio. A Ferrara la situazione è tutt’altro che eccellente. La Destra rimane forte, nonostante le scivolate del Sindaco e del Vicesindaco. Per riconquistarla fra quattro anni non serviranno le baruffe in Consiglio Comunale, né saranno sufficienti le pubbliche denunce o i sacrosanti flash mob. Bisognerà ripartire insieme. Da capo. Dal basso. Da domattina..
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Francesco Monini
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