Il pianeta è sfinito, in crisi di sopravvivenza. I primi ad accorgersene sono stati i più giovani, impossibilitati a coniugare il loro tempo al futuro. Anche noi siamo giunti allo sfinimento. Dobbiamo attenderci una mutazione antropica di cui già si vedono le prime avvisaglie: la crescente disumanizzazione. Pare che tutto tuoni, gli spazi politici, geografici, i territori da abitare minacciati ai confini dei nostri sistemi.
Così abbiamo smarrito la sintassi della narrazione. Perduto i significati, tanto che più nulla ci è intelligibile.
Ci eravamo raccontati che la modernità fosse cultura e civiltà. Ora la modernità è stata inghiottita dai morti in mare antichi quanto la nostra storia. In mano non ci resta che una appiccicosa melma di paure e di tecnologie.
È davvero brutto vivere così, con questa sensazione. L’incerto sempre presente, non sapere che direzione prendere, perché di direzioni da prendere non ce ne sono più.
Questa è la nostra solitudine, più dentro che fuori. Ci dovremmo aiutare e invece ci urtiamo, la convivenza è divenuta inconvenienza, l’altro che viene non lo si accoglie e lo si respinge.
Sulla scena si muovono solo i burattini ai quali abbiamo ceduto lo spettacolo, incapaci di recitare la nostra parte, perché non sappiamo più che parte prendere. Non riusciamo a voltare le pagine del libro, a vergarne di nuove. Ci sembrava di aver compitato cose buone e ora non ci viene più nulla.
Pare che tutto il nostro sistema sociale e politico sia uscito d’orbita.
Qualcuno ha scritto che il vuoto è il grande protagonista del nostro tempo. Il vuoto per abbandono, il vuoto per esaurimento, il vuoto per sfinimento. Non si accendono più le idee e neppure i sogni, gli orizzonti tuonano con i lampi e ognuno si serra dietro le imposte dei propri egoismi.
Opachi sono i candidati che sul vuoto si arrampicano promettendo di diradarlo, succedanei del nulla.
Tutto accade per sfinimento, al confine del limite, sulla dead line dei morti in mare, del loro ridondare nelle macchine dell’informazione.
Non dovremmo neppure osare di assolverci di fronte alla morte di uno solo di noi, invece tutto appare nell’ordine delle cose, le morti si moltiplicano a migliaia e sui loro cadaveri si disputa la politica di casa come quella mondiale.
Nemmeno ci passa un’ombra di vergogna perché tutto è dato in questo sfinimento globale. Gli orrori del secolo breve ancora disseminano le loro tossine e noi a respirare a pieni polmoni ormai intossicati.
Dovremmo avere il coraggio di rimettere sul tavolo le nostre convivenze e di guardarci dentro. Quello che stiamo facendo è un buffo rifacimento di cose rifatte, sempre quelle, ci puoi anche cambiare il nome, ma sono sempre inutilmente quelle con le loro prediche di salvifiche presunzioni, con i corifei all’altare delle nuove liturgie ad agitare i loro turiboli di incenso.
Lo sfinimento naviga in un mare di mediocrità e la mediocrazia di questo sfinimento si nutre, narra la sua sintassi del vuoto, il suo intelligibile nulla.
Dovremmo osare, osare l’intelligenza, osare il sapere.
Lo sfinimento è una brutta malattia, la cui sindrome è estremamente perniciosa, il rischio è quello di non risollevarsi più.
Sfinimento significa che non si riparte, perché vengono meno le forze, manca la tensione dei nervi e dei muscoli, il corpo non risponde più perché incapace di tendere a uno scopo, verso un senso da dare alla nostra narrazione, manca la tensione della mente.
Ecco, “la tensione della mente”, “le intelligenze tese”, questa perdita sembra essere la malattia del nostro tempo. Le prediche di paura danneggiano le intelligenze, impediscono di pensare, inibiscono le sinapsi, arenano le intelligenze sulle spiagge degli affanni, dei futuri bui.
Avremmo bisogno di scuoterci, sequestrando le parole che inibiscono ogni spinta verso il futuro, che impediscono alle menti di aprirsi. Le parole nemiche della crescita, ostili a divenire grandi, le parole che abortiscono i pensieri lunghi. Le parole avversarie delle azioni che si aprono all’uomo, al suo destino, ai suoi saperi, alla sua umanità. All’uomo capace di sfidare la storia scrivendo pagine nuove di conoscenza, di convivenza, di cultura aperta al mondo e sul mondo.
C’eravamo già raccontati che ci avrebbe atteso un tortuoso cammino verso una umanità condivisa. Ora, su quel cammino il rischio è di non incontrarsi mai, perché presi dallo sfinimento.
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Giovanni Fioravanti
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