Caso Bibbiano, parla Elena Buccoliero: “Ho sempre agito nell’esclusivo interesse degli assistiti. Contro di me un vile attacco politico”
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Giudice onorario per conto del Tribunale per i minorenni, con il compito di interfacciarsi con operatori sociali e avvocati. E’ questo l’incarico che Elena Buccoliero ha svolto per anni, su mandato del presidente Giuseppe Spadaro, per fare fronte alle carenze di organico di quella struttura. Un ruolo svolto dall’operatrice ferrarese con passione e riconosciuta competenza: doti che le sono valse negli anni unanimi apprezzamenti. In parallelo poi, dal 2014, Buccoliero è direttrice della Fondazione emiliano-romagnola per le vittime di reati. Ora, però, il suo operato è stato messo in discussione, a seguito di attacchi scaturiti a livello politico: i suoi detrattori chiedono infatti la revoca dei suoi mandati. Il motivo? Contestazioni relative a rapporti che il giudice Buccoliero ha avuto con gli operatori coinvolti nella controversa vicenda di Bibbiano.
Michele Facci, capogruppo di Fratelli d’Italia in Regione, sollecita le sue dimissioni sostenendo che “a seguito dell’inchiesta ‘Angeli e Demoni’ è emerso come Buccoliero, pur non rientrando tra le persone indagate, abbia avuto un ruolo di ampio collegamento con diverse persone coinvolte”. Lei si difende respingendo fermamente le accuse: “Non ho commesso illeciti né come giudice né come direttrice della Fondazione – ha dichiarato al Carlino Ferrara –. Lo conferma il fatto che non sono tra gli indagati. Ho avuto rapporti con alcuni soggetti coinvolti nell’inchiesta, ma non ho commesso reati. Sono a posto con la coscienza e non ho motivo di lasciare la Fondazione”.
Per chi conosce Elena Buccoliero, professionista competente, affidabile e scrupolosa, nonché donna generosamente impegnata nel sociale, l’accusa appare incredibile. Così l’abbiamo interpellata per saperne di più e conoscere anche la sua versione dei fatti.
Come hai recepito le accuse che ti sono state rivolte?
“Malissimo, con grande sofferenza interiore. Ho sempre agito nell’esclusivo interesse delle persone di cui mi occupavo”
Ma è vero che hai avuto contatti diretti con gli operatori sociali della Val d’Enza e sei stata relatrice ai convegni di Bibbiano?
Tutto vero, ma non si tratta solo della Val d’Enza. Nel 2018 sono stata relatrice in 29 incontri, di cui uno solamente in Val d’Enza. Gli altri appuntamenti in prevalenza erano in Emilia Romagna, ma anche in Lombardia, in Veneto, a San Marino, in Toscana, a Roma… E il mio numero di cellulare è nelle mani praticamente di tutti i servizi sociali della regione, essendo stata fino a pochi giorni fa uno dei giudici onorari di riferimento del Tribunale per i minorenni di Bologna.
Perché fino a pochi giorni fa?
Il mio incarico scade a dicembre e il 2 agosto ho scritto al presidente Spadaro chiedendogli di sostituirmi per evitare di avviare impegni che non avrei potuto portare a termine. Resto comunque a disposizione del tribunale fino alla scadenza formale del mandato, per i passaggi di consegne con i colleghi. Formalmente non sono ancora fuori dal ruolo.
Hai detto che come giudice onorario sei stata “un riferimento”. Che significa?
Il Tribunale per i minorenni di Bologna è uno dei più sottodimensionati d’Italia per numero di magistrati (appena sei più il presidente) rispetto ai minorenni residenti, anche il personale di cancelleria è ridotto e per anni gli utenti trovavano grandi difficoltà a relazionarsi con i giudici. Il presidente Spadaro, quando è arrivato a fine 2013, ha deciso che ogni magistrato potesse individuare nel suo gruppo di lavoro un giudice onorario come interfaccia per operatori e avvocati. Una sorta di front office per risolvere le questioni più minute e inoltrare al giudice quelle sostanziali. Io sono una degli onorari coinvolti, per questo i miei recapiti (come quelli dei colleghi) praticamente li hanno tutti coloro che operano in quest’ambito e ci interpellano spesso.
Mi fai un esempio di quello che chiedono?
Tante sono piccolezze. Capire se il magistrato ha ricevuto l’istanza, chiedere un posticipo per spedire la relazione, rinviare un’udienza… Sulle piccole cose il giudice onorario risolve facilmente il problema relazionandosi col magistrato o con la cancelleria; tutte le altre, sia di procedura sia di merito, ritornano comunque al giudice relatore. Ma per i cancellieri, e anche per i togati, è un piccolo aiuto.
Su che toni si sviluppano i rapporti tra onorari e operatori dei servizi?
Di cordiale e formale collaborazione, nella stragrande maggioranza dei casi. In 12 anni di servizio posso contarne pochissimi – mi bastano le dita di una mano, anzi mi avanzano – nei quali si è instaurata una confidenza maggiore, ed è facilissimo risalire alle ragioni.
Cioè?
Avevamo seguito insieme bambini o ragazzi con una storia particolarmente drammatica. Sono sempre difficili, le vicende che trattiamo, ma a volte lo sono di più. Per la Val d’Enza ricordo perfettamente una ragazzina costretta dalla madre a prostituirsi. Una storia bruttissima, alcuni clienti hanno patteggiato, diverse sentenze di condanna… Aiutarla insieme ha favorito una condivisione maggiore rispetto alla prassi comune. Ma posso citare anche una vicenda di altro territorio, quella di due gemellini orfani a seguito di femminicidio, nel riminese. Anche nel loro caso mi sono relazionata molto bene con la responsabile del servizio che oggi per me costituisce un solido riferimento.
Come sono assegnati i fascicoli ai giudici del Tribunale dei minorenni?
Tutti i ricorsi vengono attribuiti in ordine casuale ai magistrati togati, che ne diventano relatori.
Quindi non c’è uno specifico giudice dedicato alla Val d’Enza?
Nemmeno alla provincia di Reggio Emilia, se è per questo. I procedimenti della Val d’Enza sono suddivisi tra i sei magistrati togati, che li trattano con il supporto dei 36 giudici onorari. E ogni decisione viene presa in una camera di consiglio di cui fanno parte quattro giudici, due togati e due onorari.
Risulta che tu abbia apprezzato le relazioni degli operatori della Val d’Enza.
È vero, credo di averlo detto e pensato varie volte.
Perché?
Quelle che ho letto erano ben strutturate e integrate tra aspetti sociali, sanitari e psicologici. A volte leggiamo relazioni dove, arrivati alla fine, non sapremmo dire come sta il bambino, oppure se dopo tanti litigi si trova con la mamma o con il papà, mentre altre – in Val d’Enza e non solo – si distinguono per la completezza. Tra colleghi capita di commentare quelle che ci colpiscono, perché fatte particolarmente bene o particolarmente male. È normale.
Quindi le relazioni della Val d’Enza erano vere o false?
Come faccio a dirlo? Nelle sedute terapeutiche io non c’ero, nei colloqui sociali nemmeno. Le relazioni erano ben scritte, e i giudici minorili – che mettono in preventivo una certa quota di fraintendimenti o conflitti tra genitori e operatori, e hanno l’onere di valutarli – devono assumere che le relazioni dei servizi possano semmai essere parziali ma non in malafede. Sarebbe come se un pubblico ministero dubitasse dei rapporti della polizia giudiziaria. Per questo il tribunale ha sempre l’onere di non fermarsi alle relazioni dei servizi.
Cos’altro fa?
Prima di tutto le udienze. Convoca i genitori, i minori se hanno almeno 11-12 anni, e secondo i casi anche i nonni, gli zii, gli affidatari… Li ascolterà un giudice togato o onorario: 42 paia di orecchie. Gli avvocati possono presentare integrazioni o richieste, e i servizi attingono informazioni anche dalla scuola, dai pediatri, dai contesti di vita dei bambini.
Però si critica il fatto che le udienze le svolgano tutte gli onorari…
Molte, non tutte. Comunque i giudici onorari fanno quello che gli viene chiesto dai togati, né più né meno. E in un tribunale stracarico come quello di Bologna ricevono sicuramente più incarichi che in una sede piccola. Presumo che i colleghi di Bolzano siano meno in affanno…
È stata adombrata la possibilità che tu abbia sostenuto i Servizi della Val d’Enza per influenzare le decisioni del Tribunale.
L’idea è suggestiva, ma cade subito. I fascicoli sono distribuiti tra sei magistrati e io lavoro con uno soltanto, che tra l’altro fa istruttoria in parte personalmente e in parte avvalendosi di sei giudici onorari a rotazione. Io sono una dei sei. Non so quali minori siano al centro dell’indagine, perché giustamente i nomi non sono stati diffusi, ma è statisticamente impossibile che i loro fascicoli siano tutti affidati allo stesso togato, e impossibile pure che li tratti un solo onorario. Capisci che, se anche avessi voluto esercitare un’influenza – e non volevo – avrei avuto ben poche possibilità di riuscirci.
Sei anche direttrice della Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati. Il Tribunale per i Minorenni ne è a conoscenza?
Certo, dal principio. La Fondazione dà supporto a tutti coloro che, in Emilia Romagna, sono vittime di un reato gravissimo. Interviene anche quando il reato accade fuori regione, se a subirlo è un cittadino emiliano-romagnolo. Prima di accettare l’incarico, nel 2014, mi sono consultata con il presidente Spadaro, il quale mi ha rassicurata sulla compatibilità e ha poi pure partecipato ad alcune iniziative pubbliche, come relatore nel 2016 e come semplice spettatore nel 2018. Da parte mia ho sempre tenuto informati tutti i magistrati minorili, togati e onorari, sull’operato della Fondazione, anche perché possano – se e quando lo ritengono opportuno – segnalarla agli avvocati, o agli operatori.
Spiegati meglio.
La Fondazione interviene sui reati più gravi che, quando coinvolgono donne e bambini, difficilmente arrivano sulle pagine dei giornali. La richiesta di intervento spetterebbe ai sindaci ma, specie nei Comuni più piccoli, non tutti ne sono a conoscenza. Va da sé, quindi, che ci siano persone con necessità di aiuto per le quali non viene fatta richiesta. Per questo la Fondazione cerca di informare chi è certamente a stretto contatto con le vittime di reato: gli avvocati, le forze dell’ordine, i servizi sociali e, appunto, l’autorità giudiziaria.
Che cosa succede se in Fondazione arrivano richieste per minori di cui ti occupi per il tribunale?
La probabilità è davvero bassissima, considera che in un anno il Tribunale dei minori di Bologna apre più di duemila procedimenti e le istanze alla Fondazione a favore di bambini, in un anno, non arrivano a dieci.
Nei fatti è capitato raramente (per la Val d’Enza credo solo quella volta nel 2014) e sempre quando il tribunale aveva già preso le sue decisioni. In quelle pochissime occasioni l’ho fatto presente ai garanti. In ogni caso sono loro a decidere gli aiuti, non io.
Risulta che negli ultimi anni le richieste per i bambini arrivassero alla Fondazione in buona parte dalla Val d’Enza? Non è parso strano?
In realtà no. Sappiamo, per esperienza, che quando un Comune ‘scopre’ la Fondazione poi ne tiene conto. Ad esempio da alcune zone della Romagna per anni non sono arrivavate istanze, poi hanno capito l’opportunità e hanno cominciato a utilizzarla. O, in anni passati, il Comune di Bologna in collaborazione con la Casa delle Donne ci ha sottoposto moltissime richieste, e non è che le donne maltrattate fossero solo lì. Semplicemente, il Comune di Bologna aveva individuato nella Fondazione una risorsa su cui poteva contare.
Sono convinta che se tutti i casi di grave maltrattamento su donne e bambini ci venissero indirizzati, saremmo subissati. Solo le denunce per violenza di genere, in regione, sono centinaia ogni anno, e sebbene non tutte siano gravissime, ne restano escluse sicuramente più di quella quindicina che arrivano ai Garanti. Discorso analogo vale per i maltrattamenti sui bambini.
Quante istanze ha presentato la Val d’Enza negli ultimi anni?
Dal 2017 sono state otto, di cui sei nel 2017 e due nel 2018, nessuna nel primo semestre 2019 – e, come ti dicevo – nessuna faceva riferimento a un procedimento che io avessi trattato al tribunale per i minorenni. Su otto ne sono state accolte sette. Di queste, una aveva come vittima una persona adulta. Le altre sei riguardavano bambini presunte vittime di maltrattamenti fisici o sessuali. Ma per tre di queste sei richieste di contributo c’era già stata una condanna penale di primo grado a carico del maltrattante, nelle altre il procedimento penale era in corso.
Già, perché la condanna non è un requisito per la Fondazione.
Non potrebbe esserlo. La Fondazione nasce per aiutare le vittime nell’immediatezza dei fatti. Per avere una sentenza passata in giudicato ci vogliono anni ma le vittime hanno bisogno subito.
Come fate ad essere sicuri che il fatto sia accaduto?
La prima garanzia di serietà è la firma del Sindaco, requisito imprescindibile stabilito dallo Statuto della Fondazione. Poi, per certi reati, è tutto molto chiaro. Quando una persona viene uccisa non serve il nome dell’assassino per sapere che i familiari hanno bisogno di aiuto.
Già. E negli abusi sui minori?
È come per il maltrattamento sulle donne. La Fondazione interviene purché il fatto sia grave e ci sia una denuncia, un referto, un rinvio a giudizio, dei provvedimenti cautelari in sede giudiziaria… Insomma, degli indicatori che sostengono ragionevolmente la sussistenza del fatto.
È possibile che i contributi della Fondazione siano arrivati al Centro studi Hansel e Gretel, già nel pieno dell’indagine?
È possibile, ma non per scelta nostra. La Fondazione assegna una somma con uno scopo (cure sanitarie, assistenza, psicoterapia, trasloco in una città lontana dal maltrattante, ecc.) ma non indica mai da quale medico o psicologo privato andare, dove acquistare i mobili per la nuova casa o a chi chiedere assistenza. Se i fondi sono serviti per l’Hansel e Gretel, lo hanno deciso altri.
Chi lo decide?
Per le vittime adulte, loro stesse. Per i bambini, i tutori.
E a te, quindi, è mai capitato di indirizzare assistiti e conseguenzialmente fondi alla controversa struttura di Bibbiano?
No, in nessuna veste.
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Sergio Gessi
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