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Daniele Lugli, pacifista

Il titolo anche se provvisorio che mi prospetti mi piace: “Partigiani oggi: valori da difendere, avversari da combattere”.
Partigiani oggi: cioè dalla parte della liberazione di cui oggi avverto esservi un forte bisogno.
valori da difendere: valori si diceva un tempo. Poi è parso che il termine comportasse rigidità, contrapposizione, quasi l’impossibilità di un confronto tra sostenitori di valori diversi, soprattutto quando i valori sono stati detti non negoziabili. I miei amici mi hanno suggerito di usare la parola principi, cosa che ho fatto, anche per il richiamo agli immortali principi. Anche dei principi si è poi detto non negoziabili e quindi…. Valori o principi che siano io sono fermo a quelli della Rivoluzione francese: la libertà, da conquistare e approfondire continuamente in un processo di costante liberazione da vincoli e ignoranza, l’uguaglianza, tra persone impegnate nel medesimo processo di liberazione personale e collettiva, la fraternità , che può stabilirsi tra soggetti liberi ed eguali. Ogni termine andrebbe precisato e indagato a cominciare dalla libertà – siamo liberi secondo il concetto di libertà che ci è dato – all’eguaglianza – che non è identità, ma considera le diversità e se ne arricchisce, ma è contraria alle smisurate e crescenti distanze economiche e sociali – alla fraternità – forse la più difficile da praticare quando appare normale che il successo personale si fondi sul fallimento dell’altro. La difesa di questi valori è costituita dal loro avanzamento e radicamento. Se restano statici o solo predicati vanno a male, come l’esperienza del nostro mondo ancora privilegiato dimostra. E’ una difesa molto attiva quella che serve, la sola possibile sul piano individuale e collettivo ai diversi livelli. L’azione nella quale ripongo la massima fiducia è quella conforme ai valori che vuole affermare e cioè libera, egualizzatrice, fraterna. Richiede apertura all’altro, al diverso, alla sua esistenza, alla sua libertà, al suo sviluppo. E’ una definizione ( la preferita) che Capitini da della nonviolenza.

Avversari da combattere: Sono avversari appunto quanti si oppongono alla libertà, un tempo in nome dell’eguaglianza oggi più spesso di una fraternità (umma) escludente il diverso come nell’orrida proposta del cosiddetto califfato. La chiusura, l’intolleranza nei confronti di chi appare diverso la colgo però bene anche attorno a me e in me. Sono avversari dell’eguaglianza, denunciati da Lelio Basso almeno quaranta anni fa in primo luogo i potentati economici e finanziari grazie ai quali “La democrazia appare sotto assedio. Un pugno di manager di immense multinazionali fanno e disfano quello che vogliono. Gli altri miliardi di uomini sono complici o schiavi. Se si rifiutano, nella migliore delle ipotesi, sono emarginati e non contano niente”. Le gesta del pugno di manager sono entusiasticamente replicate ai diversi livelli sociali. Contro la fraternità, come riconoscimento di un profondo legame razionale ed emotivo tra persone unite da un medesimo destino, gli oppositori non si contano. Eppure già Kant aveva ri cordato che “ La solidarietà non è un sogno nobile, ma una reale necessità”. Lo dice un proverbio zulu, che piace a Marchionne (escludendo però i metalmeccanici della Fiom), per cui “una persona è una persona tramite altre persone”: umuntu ngumuntu ngabantu. Come si debbano e possano combattere tali implacabili avversari, dei quali siamo più o meno consapevoli complici, è un duro quesito. In primo luogo bisogna far cessare, diminuire la nostra complicità, individuale e collettiva ai vari livelli. Vedere in questi nemici gli esponenti di una violenza che va affrontata con mezzi idonei a ridurla in tutti i suoi aspetti, diretti, strutturali, culturali. Qualche anno fa nel penultimo Congresso del Movimento Nonviolento, che allora presiedevo, ho detto cose che non saprei ora, e sarà peggio domani, dire meglio: parlando di “un continuo processo di apertura personale e collettiva, di liberazione se si preferisce…
Sette riforme indica Morin come necessarie: politica, economica, sociale, del pensiero, dell’educazione, della vita, della morale. L’apertura va portata nella politica, restituendole la sua generosa funzione di costruzione della città per i figli e i nipoti e non occasione di potere e arricchimento personale, aprendo alla comprensione di civiltà differenti ed al loro apporto alla città comune.
Va a riformare un’economia in evidente crisi dopo l’ubriacatura finanziaria e il suo svincolo dai bisogni profondi e dalle possibilità di sviluppo delle persone.
Così sono necessarie profonde riforme sociali per rimediare a inaccettabili diseguaglianze di ricchezza e potere. È un sistema intero di pensiero che va aperto, al di là delle estreme specializzazioni che impediscono di cogliere la complessità dei processi. Il confronto costante ed impegnato vi è essenziale. La stessa espressione “pensiero unico” è negazione di pensiero. La centralità di processi educativi che mettano le persone nella condizione di esprimere e confrontare pareri competenti, il contrario dell’imperante retorica populista. È la vita che va aperta, a dimensioni che non conosciamo o abbiamo dimenticato. Il settimo campo indicato da Edgar Morin è dunque quello della morale. Un fine che ha bisogno di mezzi ingiusti non è un fine giusto. Sembra Gandhi ma è Marx, il Marx citato e amato da Camus.

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Redazione di Periscopio

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