L’INTERVISTA
Sani e hi-tech:
i prodotti del territorio
passati ai raggi Nir
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Ad un anno esatto dalle prime analisi Nir condotte sui mini cocomeri, il Dipartimento di scienze della vita e biotecnologie dell’Università di Ferrara va oltre, e lancia un sistema particolarmente innovativo che permetterà al consumatore di ottenere tutta una serie di dati integrati, accessibili attraverso un Qr-code apposto sulla confezione o direttamente sul prodotto. Dalle informazioni sull’azienda produttrice alle caratteristiche organolettiche, dalla provenienza geografica ai consigli del dietista, si potrà avere la scheda prodotto dettagliata sullo schermo del proprio smartphone o tablet mentre si fa la spesa, in tempo reale e senza passare per un sito.
Il progetto Ideas (Innovation and development for agri-food security), di recente presentato alla stampa, coinvolge un gruppo di ricercatori e consulenti che si sono messi insieme con lo scopo di perseguire innovazione tecnologica e sviluppo aziendale, ricerca scientifica e sviluppo economico territoriale, sul tema della tracciabilità dei prodotti agro-alimentari. Sulle confezioni i consumatori troveranno un Qr-code. La sigla sta per “Quick response code” (codice a risposta veloce), si tratta di un codice a barre a matrice, composto da moduli neri disposti all’interno di uno schema di forma quadrata. Viene impiegato per memorizzare informazioni generalmente destinate ad essere lette tramite smartphone o tablet, supporti che ne permettono una rapida decodifica del contenuto.
Abbiamo intervistato la dottoressa Maria Elena Tamburini, responsabile delle analisi Nir del Dipartimento di scienze della vita e biotecnologie e componente del gruppo di ricerca, per ripercorrere le tappe di questo interessantissimo progetto, sperando che diventi un esempio virtuoso per lo sviluppo del nostro territorio.
In poco più di un anno dall’avvio del progetto, avete bruciato le tappe e siete già ad una fase molto avanzata, una mosca bianca in questo contesto di grande stagnazione. Nel complimentarci le chiediamo di raccontarci come è nato il progetto e come si è sviluppato.
Sì, in effetti si tratta di un progetto nato un po’ per caso, ma che ha funzionato fin dall’inizio. Si è tutto “incastrato” perfettamente perché si sono create le condizioni giuste e soprattutto perché ci siamo trovati in grande sintonia rispetto al metodo e alle finalità.
Nel maggio del 2013, abbiamo conosciuto Marco Malavasi e il suo socio Massimo Marchetti della Cooperativa agricola “La Diamantina” – prosegue affabile e gentile – perché avevano appena messo a punto una varietà di mini cocomero che risultava avere un contenuto molto elevato di licopene, sostanza importante su cui puntavano per differenziarsi sul mercato italiano ed estero. Il licopene è una sostanza piuttosto difficile da analizzare, a causa della complessa procedura di estrazione necessaria; la sfida che ci ha posto l’azienda è stata quella di provare a misurare la concentrazione di licopene con la Nirs, una tecnica innovativa che permette analisi molto precise e immediate, senza bisogno di distruggere il campione per estrarre la sostanza da analizzare. Contattando l’Università di Ferrara, hanno intercettato me che studio l’applicabilità della spettroscopia nel vicino infrarosso (in inglese, Near-infra-red-spectroscopy, Nirs) dal 1998, e che dal 2004 faccio parte della Società italiana di spettroscopia Nir.
L’idea mi è subito piaciuta perché applicare la ricerca ai processi industriali è il mio campo da sempre, e perché, in questo caso, la ricerca rappresentava una vera sfida: nonostante la Nirs sia una tecnica consolidata e utilizzata ormai da molti in ambito agro-alimentare (sono ormai più che note le applicazione per la misura del contenuto zuccherino nella frutta, o per il contenuto di umidità e proteine nei cereali), non sono riportate applicazioni, nemmeno sulla letteratura scientifica internazionale, relative alla possibilità di sfruttare i vantaggi di questa tecnica per misurare il contenuto di licopene nei cocomeri interi, senza distruggere il frutto. Naturalmente il vantaggio evidente nell’impiego di questo metodo, sta nel fatto di poter identificare ogni singolo frutto e non come normalmente avviene, analizzare a campione, per poi estendere i dati a tutto il lotto.
Così siamo partiti e nel giro di un paio di mesi, abbiamo avviato e completato con successo la fase preliminare del progetto, necessaria per calibrare lo strumento e misurare la concentrazione di licopene nei cocomeri.
La cosa interessante, dal punto di vista della ricerca, è stato appunto verificare che la tecnica Nir funziona perfettamente anche sul cocomero intero: riesce a penetrare attraverso la buccia (la cui presenza avrebbe potuto rappresentare un ostacolo, una sorta di effetto schermo); riesce ad intercettare la molecola del licopene nonostante la bassa concentrazione assoluta (il licopene è infatti una sostanza che si trova nei prodotti in quantità micro, nell’ordine dei milligrammi per chilo).
Perché il licopene è così importante, tanto da indurre un’azienda ad investire diverse decine di migliaia di euro per acquistare uno strumento di analisi all’avanguardia?
Il licopene è un prodotto salutistico, è stato scientificamente provato che si tratta di una sostanza molto importante perché è un antiossidante, un antiradicali liberi, ottimo quindi contro i processi di invecchiamento e degenerazione cellulare e nella prevenzione dei tumori, ultimamente molto ricercato anche come integratore. Il pomodoro è la principale fonte di licopene ma un po’ tutti i frutti rossi ne contengono; la quantità di licopene è connessa con la pigmentazione rossa e il grado di maturazione. Poter attestare su ogni frutto la quantità di questa utile sostanza, ha una grande potenzialità di valorizzazione del prodotto.
E perché questa macchina e non altre? Quali i vantaggi?
La spettroscopia Nir ha la particolarità di funzionare per irradiamento: in sostanza c’è un raggio luminoso di opportuna lunghezza d’onda (compresa tra 400 e 2500 nm, nanometri, nello spettro elettromagnetico) che irradia il campione e che riesce ad interagire con i legami chimici delle molecole organiche, eccitandole e quindi aumentandone l’energia di vibrazione, e ottenendo una risposta dello strumento in termini di quanta energia è stata assorbita dalla molecola.
Una volta misurata l’energia vibrazionale assorbita, si procede nel correlare la risposta strumentale ad un valore di concentrazione. Il vantaggio è che, essendo un raggio luminoso, si può fare tenendo il frutto intero e non c’è bisogno, come nell’analisi chimica tradizionale, di aprire il frutto, prendere la polpa, concentrare il succo, liofilizzarlo, estrarre con un solvente organico il licopene, procedura lunghissima che impiega 2/3 giorni di lavoro per ottenere il risultato.
Lo strumento Nir, al contrario, offre molti vantaggi: è una tecnica non distruttiva; ti dà il risultato in tempo reale, ossia nel giro di un secondo; e, soprattutto, si tratta di un’analisi molto versatile, multi-parametrica, perché l’irradiazione è in grado di rilevare contemporaneamente la concentrazione di una serie di molecole organiche, non solo quelle del licopene ma anche quella degli zuccheri, per esempio, e a definire, quindi, in tempo reale, il grado di dolcezza di un frutto.
Fino a quel momento, quindi, eravate voi e l’azienda. Come siete arrivati al costituire il gruppo Ideas?
A quel punto ci siamo chiesti, ma perché non estendere il progetto allargandolo all’intero percorso qualitativo di un prodotto, provando a coinvolgere altre aziende che potrebbero utilizzare il Nis per dotarsi di un sistema innovativo di tracciabilità con il sigillo dell’Università?
L’idea è passata, e nel settembre 2013 abbiamo messo insieme il gruppo Ideas (Innovation and development for agri-food security), un team di esperti abbastanza eterogeneo: io come esperta di Nir, Maria Gabrielli Marchetti biologa, esperta di tessuti biologici e analisi immunoistochimiche, Gian Paolo Barbieri esperto nel mettere insieme università e imprese, Valentina Donegà biotecnologa, Marco Malavasi esperto di marketing.
Da quel momento i progetti si sono diversificati: c’è il progetto di ricerca sui cocomeri e quello sulla tracciabilità. Per il progetto di ricerca sui cocomeri, proprio in questi giorni stiamo conducendo la seconda fase, di cui avremo i risultati al termine della stagione, e abbiamo presentato anche un brevetto.
Il progetto sulla tracciabilità invece, è solo all’inizio, ma sta procedendo velocemente: parte dal presupposto di utilizzare tutti i vantaggi dell’utilizzo del Nir, inserendo lo strumento all’interno di una filiera produttiva e mettendo tutti i dati a disposizione del consumatore, quelli analitici relativi al prodotto, ma anche quelli di “filiera”, sull’origine e i percorsi della materia prima. L’idea è quella di promuovere l’applicazione di un Qr code che serva essenzialmente da portale di accesso per il consumatore per ottenere informazioni dettagliate, facilmente fruibili e scientificamente rigorose sul prodotto che sta acquistando. Il Nir in questo caso permetterebbe l’integrazione di tutta una serie di dati di controllo sulla filiera che molti produttori già effettuano, ma solo di rado arrivano fino a chi i prodotti li consuma. Questa tecnica, tra l’altro, si presta anche per verificare l’effettiva origine geografica del prodotto.
Abbiamo cominciato a cercare altre aziende del territorio e ne abbiamo trovate due interessate a collaborare con noi: il Pastificio Andalini Srl di Cento e Bia Spa di Argenta che produce cous cous biologico.
Il progetto è tutto finanziato dall’Università di Ferrara o avete avuto accesso ad altre risorse?
Il progetto è dell’Università ma per sostenerci economicamente abbiamo partecipato, proprio con il Pastificio Andalini, ad un bando regionale i cui fondi sono stati destinati alle aziende delle zone colpite dal sisma, per favorire innovazione di processo e di prodotto. Anche Bia S.p.a. sta sostenendo la ricerca.
Ci sono in vista altri possibili sviluppi?
A dire il vero sì, siamo in contatto con la Reply, grande azienda di consulenza informatica esperta in particolare nell’ambito dell’informatizzazione sanitaria, che potrebbe curare tutta la parte di accesso alle informazioni di tipo salutistico e di prevenzione del prodotto, come per esempio segnalare se il prodotto che si sta acquistando è consigliato per chi soffre di diabete piuttosto che per ridurre l’incidenza di un certo tipo di patologie. Per questo aspetto, in particolare, stiamo pensando di presentare un progetto per partecipare ad un bando europeo sui finanziamenti di Horizon 2020.
Stiamo anche collaborando fattivamente con il Craiaa (Centro di ricerca per l’agricoltura-industria agro-alimentare) di Milano per lo svolgimento di alcune prove aggiuntive a supporto del progetto.
In ultima battuta, per gli aspetti più prettamente commerciali, ci siamo rivolti al dottor Marco Malavasi, responsabile marketing della Società agricola Malavasi e socio della Cooperativa La Diamantina, chiedendogli cosa si aspetta dall’intera operazione?
La ricaduta commerciale attesa per l’azienda è principalmente in termini di riposizionamento dei prodotti che accederanno a questo sistema e di valorizzazione del vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti. Si tratta di una nuova concezione di tracciabilità che premia le aziende che lavorano secondo criteri di qualità e trasparenza, frutto di una scelta distintiva di politica aziendale e di mercato. Molte aziende si trovano nella condizione di dover valorizzare il loro prodotto di qualità e, ormai troppo spesso, anche difenderlo da frodi e sofisticazioni che sono drammaticamente sempre di più all’ordine del giorno e che stanno devastando il mercato agro-alimentare italiano. In attesa che diventi una necessità cogente, riteniamo che un sistema di comunicazione diretto, garantito e facilmente accessibile ai consumatori possa essere una scelta vincente per le aziende ed anche per l’intero territorio.
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Sara Cambioli
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