Credo che il sesto senso sia il senso d’esserci, il senso del proprio corpo, la consapevolezza d’esistere, la somma di tutti gli altri cinque sensi produce il sesto: sentire d’essere.
A volte la confusione, la concitazione, il precipitare del tempo che ci sta addosso, che ci incalza, non consente di compiere una sosta per accorgerci che ci siamo: che noi siamo noi. Sembra che la narrazione debba correre passandoci sopra e che mai si possa posare il copione per ragionare sulla parte che si sta impersonando. Il mondo ti viene addosso e neppure ti puoi scansare. Non amo l’apologia della lumaca, neppure le testuggini secolari, preferisco l’andante con moto al lentissimo, ma la mia parte nella vita la voglio studiare e soprattutto capire.
Non credo neppure alla retorica della libertà, perché sulle libertà fondamentali che stanno al principio e alla fine della propria esistenza nessuno di noi ha potuto e potrà decidere, e sono queste che nel bene e nel male condizionano tutta la partita.
Non so se memoria e tempo siano la stessa cosa, considerato che la memoria è il prolungamento del tempo nel tempo, ma certo la chiave di tutto non può che risiedere qui. E quando vivi che memoria e tempo non ti tornano è un bel guaio.
A conclusione del Fedro, a proposito di logografia, l’arte di scrivere i discorsi, Platone fa raccontare a Socrate la presentazione della tecnica della scrittura da parte del suo inventore, il dio Theuth, al re dell’Egitto Thamus.
“Questo insegnamento, o re”, disse Theuth, “renderà gli Egiziani più sapienti e più capaci di ricordare, perché è stato inventato quale rimedio per la memoria e la sapienza”.
Thamus non condivide l’entusiasmo del dio e replica: “Così tu ora, come padre della scrittura, per benevolenza hai detto il contrario del suo potere. Essa infatti procurerà l’oblio nelle anime di coloro che l’apprendono per mancanza di esercizio della memoria” .
Chi sa cosa penserebbe Thamus se potesse conoscere il seguito della storia? Certo i sostenitori dell’importanza di esercitare la memoria hanno qui un illustre precursore.
Della memoria bisogna essere gelosi, la memoria è un bene prezioso. Perché la memoria è l’essenza dell’essere che è stato, è l’unica a cui possiamo affidare la consistenza del nostro sesto senso.
Il perdere la memoria, il dramma di tanti anziani della nostra epoca, penso che sia riassumibile in questo, smarrire il proprio sesto senso, il senso di sé.
Il fatto è che non sono solo i nostri anziani a precipitare nella buca dell’oblio, il difetto di memoria è sempre più un limite dei nostri tempi, che pure pullulano di archivi e banche dati, ma le memorie della mente sono sempre meno, perché le onde dell’informazione entrano in cortocircuito, per un eccesso di frequenze e noi rischiamo di smarrire sempre più il nostro sesto senso, il senso di noi stessi.
Come si fanno i nodi al fazzoletto per ricordare, noi li abbiamo fatti al calendario istituendo le giornate della memoria, senza renderci conto che la memoria di un giorno altro non è che un ossimoro. Fino a scoprire che le memorie non sono tutte uguali e a inventare il museo della memoria, come la memoria si potesse mettere in bacheca, più scostata da noi. Così succede che le memorie si confondono o si finisce per scordarle.
Eppure le memorie sono i legami, i vincoli tra noi. Cos’è la vita senza collegamenti, senza ormeggi nel tempo? La nostra memoria è la nostra coerenza, la nostra ragione, il nostro sentimento, persino il nostro agire. Senza di essa non siamo nulla, scrive Oliver Sacks. Sempre più assomigliamo a quel suo paziente che scambiò la moglie per un cappello, anche noi disturbati dalla paragnosia, dall’incapacità di riconoscere i volti che l’umanità assume intorno a noi.
Avremmo bisogno di compiere esercizi di stile, trovare varianti alle trame della nostra narrazione, perché la vita non è questa e neanche quell’altra, è inevitabilmente solo quella che scegliamo e di quella portiamo la responsabilità.
Prima di decidere dovremmo sempre prefigurarci altre narrazioni. Non sono più i sì o i no a cui possiamo affidare la nostra storia e la memoria che indissolubile l’accompagna, i nostri giorni, le nostre azioni, le nostre complicità.
Il sesto senso quello dell’essere è sempre trama, è sempre narrazione. Dovremmo provare a narrarcelo tutte le volte nelle sue 99 variazioni come fa Queneau. Ci aiuterebbe di fronte allo smarrimento e al disorientamento a colmare il grande vuoto del non sapere cosa accade. La narrazione dei migranti, la narrazione delle vite dei nostri giovani, la narrazione del nostro paese, le narrazioni che sono già state.
Esercizi di stile significa ritornare alla memoria e riscriverla, come sarebbe andata la storia se non avessimo scelto, per fare un esempio, la persecuzione degli ebrei, se non avessimo scelto le foibe, se non avessimo scelto di chiudere i porti.
“L’uomo nell’alto castello”, i mondi paralleli esistono solo nella fantascienza, ma imparare a riscrivere un’altra realtà è più educativo del solo ricordare, ci richiamerebbe alle nostre responsabilità e gli esercizi di memoria da ricordi si trasformerebbero in azioni, nelle azioni che sono state e forse meglio ci vaccineremmo tutti dalla coazione a ripetere i nostri errori.
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Giovanni Fioravanti
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