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da Elena Lo Sterzo

In una stagione in cui le ‘piazze’ virtuali stanno prendendo il sopravvento su quelle fisiche e reali, e in cui c’è quindi il rischio che le interazioni e le comunicazioni umane prendano le sembianze di gare narcisistiche a chi crea l’identità più incisiva e attraente, oppure di discussioni aggressive senza preoccuparsi troppo di conoscere l’altra persona, gli spazi e le occasioni di creare confronto più genuino e riflessione comune sulle tematiche più disparate costituiscono nuovi catalizzatori di connessione umana ed empatia.
A Ferrara si è provato a fare un esperimento per esplorare queste potenzialità utilizzando la ‘cassetta degli attrezzi’ che ci siamo costruite negli anni, quella da psicoterapeute, unendola alla passione per il cinema. Il binomio psicologia e cinema non costituisce una gran novità: da sempre il cinema ‘attinge’ dall’inesauribile bacino costituto dalle emozioni e si sporca le mani infilandole nel torbido delle passioni. Comprensibilissimo, essendo il cinema una modalità di raccontare il quotidiano, che risponde pertanto a un bisogno, quello della narrazione, che l’essere umano ha da sempre. Narrare storie, da quelle fittizie a quelle più realistiche, aiuta a spiegare, a dare un senso, ma anche creare e consolidare un senso di identità e di comunità. Allo stesso tempo, immaginare scenari alternativi può anche servire a sperimentare un nuovo punto di vista nei confronti del già conosciuto e vissuto quotidiano: a tal proposito si pensi al fatto che le primissime scene girate dai fratelli Lumiére hanno ripreso proprio momenti di vita quotidiana, e per di più personali: gli operai all’uscita della fabbrica dove loro stessi lavorano, una petit dejeneur con moglie e figlia di uno dei registi…
La necessità insomma di provare a guardare il conosciuto con un paio di occhiali diversi. In questi termini, prezioso è il parallelismo tra i meccanismi psicologici messi in moto dal cinema (inteso sia come sua creazione che come sua fruizione) e quelli messi in moto dalla psicoterapia, che tra gli obbiettivi principali ha proprio quello di far “decentrare” la persona dalla narrazione della vita in cui è immerso e alla quale è profondamente attaccato e osservare con consapevolezza le caratteristiche del proprio personalissimo “paio di occhiali per guardare il mondo”.
Desiderando proseguire con tale parallelismo tra cinema e psicoterapia, meccanismi cognitivo-emotivi potentissimi che si attivano nella visione di un film sono quelli dell’empatia e dell’immedesimazione: pur consapevoli che ciò che vediamo sullo schermo è fittizio, inevitabilmente cediamo alla “suspension of disbelief” (Coleridge) che consente di immedesimarsi nei personaggi e nelle storie raccontate e provare emozioni reali, e fare riflessioni, siano essi parallelismi o prese di distanza, tra ciò che vediamo e la vita vissuta. E ancora, il riconoscimento sullo schermo di emozioni o situazioni simili a quelle da noi vissute nella realtà ha un potente effetto di validazione, ovvero la conferma del fatto che un particolare vissuto è comprensibile, normale, e, potenzialmente universale (soprattutto tenendo in considerazione il contesto e gli antecedenti nei quali è prodotto). Validare un’emozione aiuta a sentirsi meno soli, alieni o diversi da ciò che ci circonda (sensazioni che spesso possono essere all’origine del malessere interiore).

Nel primo esperimento di questo Cineforum sulle emozioni – intitolato ‘CINEMozioni‘ – abbiamo affrontate tre tematiche: ‘Connessioni Pericolose, il ruolo della Rete nel plasmare il quotidiano’; ‘Imbarazzo ed estraneità, 100 sfumature di timidezza’; ‘Il re è nudo! la coesistenza di grandiosità e fragilità nel Narcisismo’. Tali tematiche sono state affrontate proponendo una breve introduzione iniziale ai temi trattati, la visione di alcuni spezzoni di film (per esempio per la serata sulle Connessioni Pericolose il film ‘Her’ di S. Jonze e l’episodio ‘Caduta Libera’ della serie Black Mirror; per la serata sulla timidezza pezzi di ‘Il riccio’ di M. Achache, ‘I sogni segreti di Walter Mitty’ di B. Stiller ed ‘Emotivi anonimi’ di J. Ameris; per la serata sul narcisismo i film ‘E’ solo la fine del mondo’ di X. Dolan e ‘Anomalisa’ di C. Kaufman), seguita da un confronto libero finale.

Cosa è successo in queste serate? Ci siamo ritrovati circa in una ventina di persone complessivamente e dopo le visioni proposte si sono creati momenti di confronto e discussione sui temi proposti ed i vissuti attivati, spaziando da tonalità di piacevolezza, a sfumature di fastidio e bisogno di rimarcare la distanza o il non accordo con i vissuti rappresentati. Attimi e fenomeni, noi crediamo, molto preziosi. Vorremmo ripetere questa esperienza aumentando ancor di più la dose di partecipazione, partendo per esempio proprio da una progettazione partecipata: quali tematiche affrontare? Attraverso quali pellicole? E’ possibile creare momenti e spazi di condivisione e di ‘ri-alfabetizzazione’ emotiva attraverso il cinema, anche per promuovere una visione della psicologia non basata sulla demarcazione tra salute e malattia, ma su un continuum tra benessere e malessere che caratterizza la condizione umana?

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