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Siamo all’ultimo passo degli anni ’10. Anni degni di storia ma non di memoria… Perlomeno, rispetto al secolo scorso, ci siamo risparmiati la tragedia della guerra. Ma in guerra, forse, siamo ugualmente: una guerra strisciante, diffusa, non dichiarata come sostiene Papa Francesco; una guerra intestina, fomentata dalla reviviscenza del terrorismo, la cui matrice – a differenza di ciò che avvenne in Europa mezzo secolo fa – non è interna ma esogena; eppure, anch’essa in un certo senso frutto di un dogmatismo ideologico. Stavolta non sono le falangi estremiste (e talora deviate) delle nuove generazioni che si battono per il ribaltamento dello Stato, ma i fanatici seguaci di un culto, quello islamico, che seminano morte e terrore per le strade delle nostre città… E forse anche loro in parte manipolati. Per contrappunto, truppe statunitensi, sovietiche e milizie di altri Paesi del nord del mondo combattono e seminano morte in Africa e in Oriente.
D’altronde, di odio questi anni 10 si sono alimentati. Sono stati gli anni della grande crisi, scoppiata – ma inizialmente non compresa come tale – già nel 2008; e poi divampata come una folgore, che tutto ha incenerito e rivoluzionato… Anni in cui l’insicurezza, che sovrasta le nostre esistenze, ha riesumato quei ferini istinti di sopravvivenza che credevamo vinti dalla civilizzazione: così, è rinato l’odio dell’uomo verso il proprio simile, sol che abbia a contrasto il colore della pelle, o il modo di pensare, o le abitudini di vita… Sono stati, questi, gli anni del rifiuto, dell’intolleranza e del razzismo, del respingimento, del “ciascuno a casa sua”… E’ sempre la diversità a spaventare (anziché incuriosire).

La comunità si è disgregata, gli ammortizzatori sociali che lo Stato del welfare aveva garantito, sulla spinta delle lotte sociali di mezzo secolo fa, sono svaporati. E oggi in tanti gridano, come pappagalli, le parole d’ordine dei regimi che ci addomesticano: fra questi, il “basta tasse” mostra la sciagurata inconsapevolezza del fatto che sono proprio le tasse che garantiscono i servizi ed è la proporzionalità dell’imposta rapportata al reddito a garantire che la leva del prelievo operi con equità: chi più ha più paga, come è giusto che sia! Altro che aliquote semplificate e flat tax (che generano esattamente il risultato opposto). Le tasse vanno pagate allo Stato secondo questo meccanismo di perequazione da Passator Cortese, in maniera che i ricchi garantiscano un po’ di benessere anche ai meno abbienti… Banale ricordarlo, ma necessario ripeterlo: perché le persone sembrano oggi ignare di ciò.
Anche questo è frutto dell’impazzimento attuale. Assistiamo, inermi, alla disgregazione del soggetto collettivo, al respingimento dal noi all’io, all’affermarsi di un individualismo sovrano che ha disintegrato la capacità di organizzazione e di resistenza della maggior parte delle persone, atomizzate e – nel frattempo – declassate da cittadini a consumatori, quindi a ingranaggi funzionali al sistema produttivo capitalistico basato – appunto – sul consumo. E addio all’idea di individui da rispettare in quanto tali, ciascuno legittimato a svolgere una propria significativa funzione all’interno del contesto sociale, politico e comunitario.
Ci siamo risparmiati l’onta della guerra, sì, ma il disfacimento è avvenuto ugualmente: del legame sociale, della consapevolezza del sé, dei diritti e dei non meno importanti doveri. Siamo ormai ridotti a esseri disgregati e perciò più facilmente controllabili e malleabili…

Il quadro è fosco e drammatico. Grandi luci all’orizzonte non si vedono, come non si vede più neppure il baluginare di un’utopia, di una significativa stella polare verso la quale abbia senso orientare il cammino e per la quale valga la pena affrontare qualche sacrificio.
Non è facile immaginare come si potrà uscire da questa situazione. Speriamo non servano trent’anni, come fu nel secolo scorso, per rinsavire e ricominciare a vivere…

 

Sarà un buon anno se ciascuno di noi si impegnerà per renderlo tale, per tutti e non solo per sé. Auguri a chi, con abnegazione, si cimenterà in questa impresa.

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Sergio Gessi

Sergio Gessi (direttore responsabile), tentato dalla carriera in magistratura, ha optato per giornalismo e insegnamento (ora Etica della comunicazione a Unife): spara comunque giudizi, ma non sentenzia… A 7 anni già si industriava con la sua Olivetti, da allora non ha più smesso. Professionista dal ’93, ha scritto e diretto troppo: forse ha stancato, ma non è stanco! Ha fondato Ferraraitalia e Siti, quotidiano online dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale Unesco. Con incipiente senile nostalgia ricorda, fra gli altri, Ferrara & Ferrara, lo Spallino, Cambiare, l’Unità, il manifesto, Avvenimenti, la Nuova Venezia, la Cronaca di Verona, Portici, Econerre, Italia 7, Gambero Rosso, Luci della città e tutti i compagni di strada


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