La scena degna di un burlesque anni Venti dell’eurodeputato Ciocca che sigla il proprio dissenso per la bocciatura del programma letta da Moscovici levandosi la scarpa – rigorosamente made in Italy – e bollando i fogli della ‘condanna’ al grido “this is shit”. Questa frase viene all’unisono tradotta da tutti i commentatori come “questa è cacca”. La regressione al livello infantile dell’espulsione delle feci come “cacca”, invece del più corretto “merda”, la dice lunga sull’universo culturale dei rappresentanti del nostro governo. La diminutio renderebbe più grazioso e meno invadente il termine. Rivolgersi alla parola infantile potrebbe – lo spero ma ne dubito – mettere in luce quell’aspetto ludico e innocente che il gesto sottintende forse involontariamente, forse falsamente. Ci sarebbe poi un altro gioco linguistico che renderebbe ancor più imbarazzante il gesto: l’assonanza Ciocca-cacca.
Ben più pesanti le parole che hanno determinato la condanna nel processo Cucchi dei presunti responsabili del pestaggio o di quelle del processo Aldovrandi. Il ‘filologo’ che ha chiaramente esaminato parole che hanno prodotto azioni condannabili è l’avvocato Fabio Anselmo di origine ferrarese. Bravo!
Altre parole alla moda sono ‘narrazione’ e ‘racconto’ che rimandano a un presunto aspetto letterario di un semplicissimo fatto quasi sempre politico sociale ed economico. Qui la difesa delle lettere mi spinge a un indignazione che nasce dalla conoscenza specifica dei termini suddetti entrambi dominio delle arti parallele. Michelangelo può fare una ‘narrazione’ di letture bibliche nel soffitto della Sistina. Io posso leggere un racconto di Cesare Pavese, ma mi rifiuto di leggere o sentire il ‘racconto’ o la ‘narrazione’ del salvataggio di Alitalia o di ciò che il presidente Conte dice o secondo la nuova moda ‘racconta’ a Mosca al compare Putin.
Così, resi tremebondi da catastrofi annunciate, pronunciamo (anch’io helas!) parole come ‘spread’, ‘mission’, ‘endorsement’, anche se ‘girata’ o ‘trasferimento’ mi sembrerebbero voci più appetibili-capibili.
E affoghiamo in noie tremende rese appena sopportabili dalla chiusura delle ‘sagre’ mentre ci attendiamo – e pour cause – mirabilia dalla tre giorni di ‘Ad alta voce‘, quest’anno intitolata ‘Origini. Parole che trasformano’. Di che ‘origini’ s’intende parlare nei numerosissimi inviti? Quello che mi attira di più è ‘Le origini della vita’, se non altro perché ci sarà la mia amatissima Lia Levi; invece quello che sospetto di più è ‘Il viaggio nelle parole’, in quanto famosi relatori parleranno dell’evoluzione del linguaggio nell’era digitale dove almeno tre parole m’insospettiscono ‘era’ ‘evoluzione’ ‘digitale’. ‘Evoluzione’ o ‘involuzione’ o meglio ancora ‘cambiamento’? Ma a tutto dovrò rinunciare poiché in quel mattino dovrò essere al cimitero ebraico per rispondere davanti alla tomba di Giorgio Bassani alle domande che mi porrà il conduttore del filmato prodotto dalla figlia del grande scultore Dani Karavan che sarà presente all’inaugurazione della mostra a lui dedicata al Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah-Meis il 30 ottobre.
E veniamo alle parole più brutte, quelle pronunciate dal comico nazionale Beppe Grillo nella sua performance da attore consumato (occhi in fuori, barbetta tremolante, voce strozzata) nella kermesse romana dei 5stelle al Circo Massimo: “Chi siamo? Siamo pieni di malattie nevrotiche, siamo pieni di autistici, l’autismo è la malattia del secolo”. “L’autismo non lo riconosci, per esempio è la sindrome di Asperger, c’è pieno di questi filosofi in televisione che hanno la sindrome di Asperger. Che è quella sindrome di quelli che parlano in quel modo e non capiscono che l’altro non sta capendo. E vanno avanti e fanno magari esempi che non c’entrano un cazzo con quello che sta dicendo […] Hanno quel tono sempre uguale. C’è pieno di psicopatici…”. “Chi siamo? Siamo pieni di malattie nevrotiche, siamo pieni di autistici, l’autismo è la malattia del secolo”. Idiozie urlate e condite dalle sacrosante proteste di tanti parenti, amici o persone ‘normali’ indignate da un così disgustoso linguaggio.
Secondo il dialetto ferrarese, per non dire italianamente “ma và a c…re”, si potrebbe commentare “ma fat na ca’ ad giazz” e qui si capisce che sono alle prese con il dialetto per scopi a mio parere ben più nobili ovvero filologici di quello del disumano attore! Ciò che il capetto urla sembra sia stato condannato anche dai suoi 5stelle (o da parte di essi): meno male.
Mi consolo perché la mia canina Lilla – e non il mio ‘pet’! – ha compiuto felicemente gli anni. A lei ho rivolto parole confortanti e amorose ricambiate da un frenetico scodinzolìo e da un’allegra pipì mollata in cucina.
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Gianni Venturi
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