I DIALOGHI DELLA VAGINA
A DUE PIAZZE – Chiamale, se vuoi, emozioni…
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Dialogo A due piazze fra Riccarda e l’amico Nickname che è sopraffatto dall’indecisione, ingarbugliato nel controllo di sè e dello spazio aereo in cui non riesce a volare.
N: Chi controlla le mie emozioni? Chi gestisce i miei sensi di colpa, la paura di confessare a cuore aperto che una lunga storia è conclusa e che questo non è la fine del mondo? Chi controlla la mia paura del dolore dell’altro? Chi controlla la relazione tra ciò che si muove dentro di me e le azioni che compio verso il mondo? Chi fa in modo che queste azioni vengano influenzate dai miei stati d’animo ma non il contrario, perché il contrario paralizza le azioni?
R: Ti invito a contare quante volte hai usato la parola controllo. Quando lo avrai fatto, chiediti se la semantica del controllo può essere applicata all’oggetto che sta giustamente sfuggendo: emozioni, sentimenti, paure. E allora ti domando: perchè bisogna controllarle, guidarle, anticiparle? Ma ci sei mai riuscito? Non si può barricare la movimentazione di ciò che ci scorre dentro, nella testa, nei polsi.
N: Le emozioni vanno lasciate andare, accettate. Questo lo so, un po’ di strizzacervelli me li sono fatti anch’io. Ma un’altra cosa è lasciarsi dominare dalle emozioni, al punto da non fare quello che le emozioni stesse ti suggeriscono da tempo. Sembra una contraddizione in termini, me ne rendo conto, ma vallo a dire ai terapeuti del panico, che sono, loro per primi, degli ex ansiosi. Vallo a dire a me. È strano, uno pretende di avere il controllo su tutto, compreso le reazioni e gli stati d’animo degli altri, e non riesce ad avere il controllo di se stesso. È come se il pilota di un aeroplano tentasse di governare le attività di traffico di tutto lo spazio aereo che lo circonda, andando nel frattempo a sbattere con il proprio velivolo. Eppure è quanto mi succede. Aiuto, qualcuno mi aiuti a spostare l’oggetto del mio controllo.
R: E se invece di invocare qualcuno, tu rinunciassi del tutto a questa tua pretesa del controllo di ciò che è impalpabile anche quando ti appartiene? Non puoi provare serenamente a guidare quell’aeroplano con gli strumenti che hai senza schiantarti al primo vuoto d’aria? Sembra che tu voglia tenere a bada qualcosa che senti più grande di te e così continui a muoverti in uno spazio aereo che potrebbe occupare un aeroplanino di carta. Chiedi chi gestirà i tuoi sensi di colpa: tu. Chi controllerà la tua paura del dolore dell’altro: tu. Chi eviterà il cortocircuito dentro di te: sempre tu. A patto però che tu la smetta di sentirti ingabbiato dal controllo del controllo. Ce la fai?
N: Se ce la faccio? È come quando hai individuato il problema, e pensi di avere trovato anche la soluzione. No: individuare il problema è avere fatto la metà del lavoro. L’altra metà è ancora da fare. Da qualche parte bisogna partire, vorrà dire che inforcherò la cloche del mio piccolo e sgangherato aereo da turismo con l’incoscienza del pilota del film Fandango. E se non ci riesco da lucido, mi drogherò. Ma mi raccomando, a casa non fate come me…
R: Tranquillo, A casa tutti bene.
Cari lettori, vi siete mai sentiti come Nickname? Incastrati dalle emozioni e persi di fronte al bisogno di qualcosa che vi fa anche paura?
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Riccarda Dalbuoni
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