Nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa si legge: “Il bene comune non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale; essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune.”
Ciò significa che il bene comune è qualcosa di indivisibile, perché solamente assieme è possibile conseguirlo, proprio come accade in un prodotto di fattori: l’annullamento di anche uno solo di questi, annulla l’intero prodotto perché cade la relazione tra le persone.
Il bene comune è dunque il bene della relazione stessa fra persone, tenendo presente che la relazione delle persone è intesa come bene per tutti coloro che vi partecipano
Comprendiamo allora la profonda differenza con il bene totale: in quest’ultimo non entrano le relazioni tra persone e, di conseguenza, neppure entrano i beni relazionali, la cui rilevanza ai fini del progresso civile e morale delle nostre società è ormai cosa ampiamente risaputa, teorizzata e promossa da vari e rinomati studiosi come Possenti, Alici, Mancini, Zamagni, e ancora Bruni, Becchetti, Berselli, Petrella, Tettamanzi, Nosciglia e Toso.
Del pari diffusa, nel lessico politico ed economico corrente, è la confusione tra bene comune e interesse generale, come se i sostantivi bene e interesse, da un lato, e gli aggettivi comune e generale, dall’altro, fossero sinonimi.
Eppure, generale si oppone a particolare, mentre comune si oppone a proprio. Nel bene comune, il bene che ciascuno trae dal proprio utilizzo non può essere separato da quello che altri pure da esso traggono. Sulla differenza tra i concetti di bene e di interesse non occorre aggiungere altro, tanto è chiara ed evidente.
Nel linguaggio contemporaneo, il bene pubblico viene così definito da Antonio Rosmini “[…] bene comune è il bene di tutti gli individui che compongono il corpo sociale e che sono soggetti di diritti; il bene pubblico all’incontro è il bene del corpo sociale preso nel suo tutto, ovvero preso, secondo la maniera di vedere di alcuni, nella sua organizzazione”.
Quindi il bene pubblico corrisponde al bene collettivo, cioè al bene indistinto della società, come suggerisce il comunitarismo, mentre il bene comune è il bene delle persone che vivono e che si costituiscono in società.
Potremmo dire che il bene comune non ha carattere sommatorio: non è una somma di interessi, né una somma di risorse, né una somma di regole, né una somma di aiuti, non ha cioè una dimensione esclusivamente materiale, naturale, procedurale o assistenziale: questi sono aspetti che possono rientrare nel concetto di bene comune, ma come condizioni che, più o meno necessarie, sono pur sempre insufficienti.
Ciò precisato, l’idea di bene comune è oggi ancora spendibile a fini pratici? e come delinearne alcune linee guida? Proviamo a ragionarci su.
Personalmente ritengo che, per comprendere correttamente la natura e il significato del bene comune, sia necessario porsi su un altro piano, considerando cioè il bene comune come uno stile di convivenza civile all’insegna del rispetto, del riconoscimento, della responsabilità e della reciprocità.
E’ in tale orizzonte che il bene comune può essere effettivamente perseguito, coerentemente con la sua natura e il suo significato: la natura del bene comune si collega al piano della socialità della persona umana e della sovranità del popolo, per cui la città dell’uomo non è un alveare né un formicaio, e la comunità umana non è una mandria; inoltre il significato del bene comune si collega al piano della sussidiarietà, che consegue alla pluralità delle istituzioni, e alla solidarietà, che sbocca nella fraternità e solidarietà.
Si rende allora evidente che affrontare la questione del bene comune necessita di un approccio pluridisciplinare, che consenta di cogliere la dimensione etica del bene comune nonché le sue motivazioni e applicazioni di carattere politico.
Il bene comune deve tenere conto principalmente di due categorie: da una parte quella di “crisi”, e dall’altra quella di “laicità”, e si tratta di una crisi che è anzitutto assiologica, e di una laicità che è soprattutto metodologica.
Ci piace finire questa breve nota per i lettori di Ferraraitalia con quanto detto a proposito dal nostro Presidente della Repubblica, all’incontro del “Cortile dei gentili” di Assisi: “[…] nel nostro Paese ci si dovrebbe spingere a una larghissima assunzione di responsabilità, a ogni livello della società, in funzione dei cambiamenti divenuti indispensabili non solo nel modo di essere delle istituzioni, ma nei comportamenti individuali e collettivi, nei modi di concepire benessere e progresso e di cooperare all’avvio di un nuovo sviluppo del Paese nel quadro dell’Europa unita, uno sviluppo sostenibile da tutti i punti di vista”.
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Enzo Barboni
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