Gatti neri, bianchi, grigi, rossi, gatti adulti, vecchi decrepiti, cuccioli appena nati. Gatti arrabbiati e gatti ruffiani.
Gatti dal pelo lucido e sano che corrono scattanti, gatti malati con rivoletti infetti che sgorgano dagli occhi spenti e opachi e si agitano con andature faticose. E’ un mondo felino affollato, una comunità strana di esseri vaganti che si accumulano, aumentano, in continua evoluzione e cambiamento. Ogni giorno scopri che non è mai la stessa scena e qualcosa è cambiato rispetto al giorno precedente. Lei scende di casa tre volte al giorno per sfamarli e controllare che ci siano ancora, tutti, vivi e li chiama con uno strano timbro della voce e strani nomi fantasiosi…Pollon, Dixie, Trudy, Foxy, Zakos, Molly, Pix, Stella… Simona è una donna dai lineamenti particolari, inusuali, grandi occhi nocciola con ciglia lunghissime in un volto squadrato appena arrossato, in cui gli zigomi si stagliano ben visibili dal resto. E’ alta, con gambe slanciate e proporzioni armoniose. Dev’essere stata molto bella una volta ma ora lo si può solo intuire attraverso un lavoro di ricostruzione immaginaria. D ’inverno veste sempre gli stessi jeans e la stessa maglia marrone che diventa una t-shirt bluette d’estate, pochissime le varianti. L’unico segno del passaggio di stagione è quella vecchia giacca a vento nera che la imbottisce come un hotdog, indossata nei periodi freddi ed accompagnata da una pashmina annodata al collo. Sempre quella. I capelli biondicci le spiovono afflosciati sulle spalle tranne quelle rare volte che, fresca di parrucchiera, si aggira un po’ vanitosa e soddisfatta nel giardino, scuotendo vivacemente la testa e godendosi quella chioma finalmente pulita, leggera e curata. In quei momenti si sente bella.
“Simona!” la chiama la vicina, “come va?”
“Va, va!” risponde ogni volta lei, allontanandosi sbrigativamente.
Donna laconica, non si perde in chiacchiere, non sfugge il prossimo ma nemmeno si ferma a dargli retta. Parla invece coi gatti, i suoi, quelli che tiene in casa ed anche con i randagi di cui riempie il cortile. Costruisce lunghe, lunghissime conversazioni intense, che con i cristiani non ci sono proprio, accompagnate da una mimica estrosa, ride ed ammicca con tutte le bestiole, nessuna esclusa, prendendole in braccio, accarezzandole, strofinando perfino il proprio naso su quelle testoline appiattite. Anche quando esce a stendere i panni – lenzuola con ‘meravigliosi’ gatti da cartolina, plaid di pile con allegri mici, federe di cuscini su cui figure feline vengono rappresentate in tutte le loro varianti – trova il tempo di comunicare con i suoi ospiti.
Colleziona riproduzioni di gatti di tutte le dimensioni e in tutti i materiali possibili: ceramica, vetro, legno, plastica, cartoncino, tessuto, metallo e gesso, che espone sulle mensole di casa, dappertutto. Quando si entra in quell’appartamento rimasto tale e quale dai tempi di sua nonna Adelaide, si viene assaliti da una zaffata di odore intenso che collega subito agli escrementi, al cibo rimasto nelle ciotole per troppo tempo, all’acqua stagnante e un vago sentore di candeggina che non riesce a mascherare la sgradevolezza del resto. Tutto in quella casa fa pensare a un mondo a parte, fuori dal tempo e dalle buone abitudini sane di qualsiasi altra abitazione civile. Tutto chiuso, blindato dietro le tendine una volta sfiziose ma ora di uno strano grigio topo…sporco?…usura del tempo?… Tutto scorre in funzione dei gatti che sono i veri colonizzatori di quella casa e di quella vita. Scatolette che riempiono i pensili della cucina ed occupano ogni ripiano fruibile, grandi sacchi di sabbietta e lettiere che campeggiano in ogni locale, bagno compreso, cucce di stoffa scozzese, spazzole, preparati antipulci, colliri ed altri prodotti veterinari. In più occasioni sono dovuti intervenire i vigili per liberare gli scarichi da ogni miseria perché lei ci butta di tutto e quando l’odore diventa insopportabile, i vicini si lamentano.
Lei era stata una mannequin, una modella discretamente famosa negli anni settanta, si vociferava nel vicinato. Sfilate di moda a Milano e Firenze, perfino Parigi, frequentazioni che contano fatte di nomi importanti nel jet-set di allora. I vicini bisbigliavano sornioni e compiaciuti che c’erano stati degli amori scandalosi con uomini di spicco già impegnati, le cui mogli erano insorte con minacce e querele contro quella bellissima femmina che invadeva i loro letti e le loro vite regolari, fatte di benessere, soldi e vantaggi di ogni genere. Simona, che compariva in ogni appuntamento mondano vestita di rosso e nero, perfetta nei modi e nelle conversazioni come una geisha fuori tempo, seducente, accattivante, sempre perfetta, si prendeva ciò che desiderava, incurante di ciò che immancabilmente scatenava. Dicono i bene informati del vicinato, che avesse movimentato le notti ed i giorni di quegli uomini di plastica fatti in serie, votati al successo e al denaro, mai sazi e appagati. Simona aveva sfilato elegante e sicura sulle passerelle, accompagnata dai ritmi musicali più disparati tra due ali di gente preparata, pronta ad inghiottirti e farti a pezzi oppure esaltarti e fare la tua fortuna. Aveva indossato pellicce, costumi da bagno e lingerie, teilleur sofisticati ed abiti da sera raffinati e ricercati, abiti da sposa e cerimonia, capi unici preziosi ed originali, con la disinvoltura che anfetamine e cocaina ti permettono di assumere perché così ti estranei o ti senti una dea superiore a tutto e tutti, reggendo ritmi e tempi massacranti, feste ed incontri. Prendere le distanze è necessario per non farsi fagocitare e stritolare da quell’ambiente in cui devi dimostrare di essere la migliore, sempre.
La sua vita era fatta di niente e nel momento in cui l’aveva compreso era iniziata la discesa. Era confusa, non riusciva a far bene il suo lavoro, avvertiva che la deriva era vicinissima. Quello che prima appariva irrinunciabile, ora sembrava senza senso: soldi, lusso, uomini, successo. Era stato un processo silenzioso e implacabile che metteva in discussione tutti i suoi dogmi inattaccabili di sempre e la rendeva consapevole che la sua vita era priva di relazioni umane vere, vuota, inconsistente.
I vicini raccontano, con dovizia di particolari e grande animazione, che quando arrivò in quel quartiere e in quella via già qualcuno l’aveva preceduta con racconti ed informazioni sulla sua persona senza lesinare sui particolari, anche quelli più scabrosi. Dove finisse la realtà e cominciasse la fantasia non sappiamo di preciso né lei ha mai contribuito a fare chiarezza. Arrivò con qualche gatto che attirò subito l’attenzione perché di bagaglio non ce n’era poi molto altro e un figlio già grande, un ragazzone elegante, simpatico e comunicativo che, a detta del vicinato, aveva studiato all’università ed era molto intelligente. Non era rimasto molto in quella casa, due anni forse, il tempo di un master sullo scioglimento della calotta Polare – così sostiene Alfredo il postino – poi l’avevano visto con le valige sulla soglia dell’abitazione che discuteva con la madre, l’abbracciava e si avviava verso la stazione senza girarsi.
Anna Paola, la pettegola del negozio di alimentari, aveva raccolto le uniche confidenze che Simona si era lasciata sfuggire in un momento di particolare sconforto, arrivando a quel tassello che mancava a tutto il vicinato sulla vicenda della donna e del giovane.
Il fatto era sorprendentemente semplice, così semplice che quando lo si seppe ci rimasero tutti male, dopo le vergognose ipotesi e congetture che ognuno elaborava, quasi fosse una gara a chi le sparava più grosse.
Igor, il ragazzo, aveva proposto alla madre di abbandonare tutto e seguirlo negli Stati Uniti dove gli era stato offerto un posto di ricercatore, l’occasione della sua vita, quella da non perdere. Aveva insistito con quella fragile donna che non stava sicuramente bene, l’aveva perfino supplicata ma non era valso a niente.
Simona aveva preferito i gatti, quella grande e disordinata colonia di gatti che erano diventati la sua famiglia ed il suo stesso motivo di essere.
Da quella volta la sua quotidianità continua a gravitare intorno alle sue bestiole e non subisce variazioni e cambiamenti di nessun tipo, neanche quando qualche gatto muore e lei lo seppellisce in un angolo di quel grande giardino ai piedi dell’acero, del salice o del melo per poi sparire dentro casa per almeno tre giorni di lutto.
Tutti si sono abituati a lei ed ai suoi inquilini e non la spiano nemmeno più scostando le tendine delle finestre in attesa di vedere chissà cosa. Talvolta qualcuno racconta ancora a bassa voce che lei nasconde nei posti più strani i suoi vecchi gioielli, quelli che indossava nelle occasioni mondane del passato e si mormora – senza molta convinzione – che siano davvero preziosi: diamanti, acquemarine, smeraldi, perle e rubini di ogni taglio e montatura, girocollo, bracciali, anelli, orecchini e pendenti. Nessuno in realtà può affermare di averli realmente visti e toccati, ragione per cui la cosa è destinata ad essere leggenda metropolitana che tiene viva la fantasia popolare.
Una donna del quartiere sostiene che Simona si sta trasformando lentamente in una gatta; se l’è trovata improvvisamente alle spalle l’altro giorno, silenzioso passo felpato, lunghi movimenti eleganti; ha sussultato per la sorpresa, l’ha fissata ed ha scorto due grandi occhi verdi e gialli, incredibili occhi di persiano, giura…
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Liliana Cerqueni
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