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di Roberta Trucco

“Il bambino è padre dell’umanità e della civilizzazione, è il nostro maestro, anche nei riguardi della sua educazione”: a dirlo è stata Maria Montessori.

Mai stato così vero! Assistiamo sgomenti al grido dei bambini siriani che ci sbattono in faccia l’orrore di una guerra che li sta sterminando. Dall’altra parte del mondo, nella evoluta e democratica America, ieri 14 marzo, hanno marciato gli studenti al grido di #enough is enough. In discussione è la ‘sicurezza‘, una delle parole più gettonate nelle campagne elettorali degli ultimi decenni e forse di sempre. In nome della sicurezza i ‘padri della patria’ ci dicono che dobbiamo armarci contro le invasioni, contro i diversi, contro quelli che non la pensano come noi. Curiosamente la parola sicurezza viene usata indistintamente dai leader delle nazioni, dai leader di gruppi terroristici, dalle lobby delle armi o da pazzi isolati che sparano per sentirsi parte di un branco. Per tutti la sicurezza passa attraverso l’omologazione, il denaro, la stabilità economica, attraverso un concetto di libertà neoliberale in cui il limite, il limite individuale, non ha confini perché garanzia di uguaglianza. Sembra che nessuno, se non i giovani che marceranno, si chieda se la sicurezza invece non passi attraverso il lavoro di cura, l’amore reciproco, che fa sì che il cucciolo umano cresca nella fiducia delle sue capacità, capacità che unite a quelle dei suoi compagni gli permetteranno di adattarsi all’ambiente in cui vive e di autotutelarsi.

Sicurezza etimologicamente significa sine –cura( senza cura). Me lo fece notare per la prima volta un’amica, compagna di battaglie femministe, Annalisa Marinelli, durante una sua conferenza sulla città sicura (vedi anche Annalisa Marinelli, La città della cura, Liguori Editore). La sua tesi è che una società che non si prende cura delle vulnerabilità non è una società (nel senso ampio e generico di insieme di individui uniti), ma un luogo dove sistematicamente il debole viene annientato, dunque un luogo volto all’autodistruzione. È un fatto: l’essere umano è vulnerabile e volere cancellare questa realtà significa cancellare la sua capacità di dare risposte abili – etimologia di ‘responsabilità’ – alle difficoltà che sempre si incontrano nelle vicende umane.
“Il rischio, qualsiasi sia la forma in cui lo si pensa o si presenta, appartiene alla vita. Azzerarlo non si può. Si può volerlo fare a tutti i costi, ma si chiama controllo, ossessione, possesso, malattia”. Queste le parole scritte in un articolo pubblicato su Repubblica da Maria Pia Veladiano (scrittrice e insegnante) a commento dell’avventura di un bambino che si è perso nel bosco bellunese.
Dunque se la parola sicurezza viene ossessivamente ripetuta cancella inesorabilmente il valore della cura e dell’amore e ammala la comunità, la deresponsabilizza.

Da anni sono convinta che il femminismo sia una delle strade più autentiche per interpretare la complessità odierna e per trovare risposte coerenti. Leggendo autorevoli studi di donne ho iniziato a mettere in fila alcuni eventi apparentemente slegati fra di loro: disagio infantile, distruzione ambiente, sessismo, atti terroristici, guerre. Tutti hanno una radice comune: un concetto errato e fallace di sicurezza e di libertà. Ed è questo che ci sta portando verso la catastrofe. Oggi i giovani che marciano negli Stati Uniti ci stanno dicendo quanto è malata la nostra società, quanto è malato il nostro concetto di amore e di tutela, quanto è malata la nostra responsabilità. Questi giovani hanno dichiarato che non si arrenderanno, marceranno finché non vedranno gli adulti fare qualcosa! E quel qualcosa non è aumentare protezioni, o recinti, ma fare un salto radicale nell’intendimento di questi due concetti fondanti: libertà e sicurezza. Il loro diritto ad andare a scuola sicuri passa attraverso la responsabilità degli adulti di fare leggi e regole che siano coerenti con l’amore di cui si dicono portatori. Mai come oggi il loro monito e insegnamento è necessario alla sopravvivenza di tutti! Mai come oggi sono i nostri maestri nei riguardi della loro educazione e della nostra coerenza!

Chi siamo
Il gruppo Molecole è un momento di ricerca e di lavoro sul bene, per creare e conoscere, scoprendo e dialogando altre molecole positive e provare a porsi come elementi catalizzatori del cambiamento. Nasce agli inizi del 2016 a Casanova Staffora, dall’esigenza di supportare le persone nell’esplicazione delle proprie potenzialità e successivamente costruire processi di associazione e interazione, poiché ogni molecola, aggregandosi, potrebbe generare un corpo finito ed operante, una parte viva e attiva della società, diventando elemento di speranza e di pressione.
Il gruppo si riunisce ogni due mesi presso la sede di Ce.L.I.T. a Santa Margherita di Staffora (provincia di Pavia). Fra i temi affrontati: studio e dibattito sulla Burocrazia, studio e invio di un questionario allargato sulla felicità, sul suo significato e visione. E’ aperto a contributi e collegamenti con altre esperienze analoghe

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