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29 Gennaio 2018

Is there anybody there?

Tempo di lettura: 3 minuti


Mentre mi stavo per mettere più o meno comodo a scrivere queste righe mi stavo chiedendo: ma cos’è ‘sta merda che sento entrare nelle mie orecchie, sono per caso i maledetti Pearl Jam?
No, non erano i maledetti Pearl Jam, mi sentivo rispondere: era il maledetto – ma elegantissimo – Bill Callahan.
A quel punto allora ho pensato alla sana stronzaggine di Mark E. Smith e poco dopo ho realizzato che dal 24 di gennaio del 2018 sarà davvero più difficile stare al mondo con la giusta dose di stronzaggine in un mondo che per di più è un mondo da e di stronzi.
Dallo scorso mercoledì infatti, Mark E. Smith – nato Mark Edward Smith – non cammina più su questo mondo da stronzi e di stronzi insieme a noi stronzi.
In questo momento sarebbe utile una sua definizione di questo pianeta, di sicuro farebbe ridere.
Mark E. Smith è stato cantante e dittatore indiscusso dei Fall, stronzo di prim’ordine, pezzo di arredamento dei pub di Manchester, “scrittore” sempre peculiare e umorista sottile come pochi, perfido come solo Albione sa essere.
Mark E. Smith era nato – scusate se mi ripeto ma lui apprezzerebbe – come Mark Edward Smith – il 5 marzo 1957, più o meno a Manchester, da una famiglia più o meno umile.
Come tanti della sua generazione, dopo aver visto lo storico concerto dei Sex Pistols alla Lesser Free Trade Hall di Manchester, aveva deciso di mettere su un gruppo.
Un nome preso da un noto libro di Camus, poche idee ma belle chiare e via: 32 album più dischi vari – sempre uguali e sempre diversi (cit.) – per circa 40 anni di onorata carriera.
In quei circa 40 anni i Fall non hanno mai azzeccato delle hit ma sono riusciti a crearsi uno zoccolo duro di fan abbastanza trasversale.
Piacevano ai punk, piacevano ai critici, piacevano a quelli che adesso si chiamano hipster, piacevano e piacciono persino a chi fa della musica stitica, flaccida e anche di merda, mai capito perché.
Dal 1976 allo scorso anno non hanno praticamente mai smesso di suonare e di pubblicare roba – scusate se mi ripeto – “sempre uguale e sempre diversa”.
John Peel, il famoso dj della BBC – quello delle “Peel Sessions” – li ha indicati più volte come il proprio gruppo preferito, definendoli – mi ripeto ancora – “sempre uguali e sempre diversi”.
E si capisce perché: anche lui amava ripetersi e infatti li ha invitati al suo programma così tante volte da donare loro il record assoluto di “Peel Sessions”, record che resterà imbattuto per l’eternità.
Così, per ripetermi, faccio come faccio di solito quando mi chiedono di spiegare la musica di qualcuno: evito di dilungarmi in spiegazioni.
Ci sono modi migliori per spiegare la musica dei Fall, per ripetermi: 32 album più dischi vari, sempre uguali e sempre diversi.
E per capire meglio Mark E. Smith come personaggio ci sono un sacco di sue interviste su internet, un sacco bei video su YouTube – uno su tutti: Mark E. Smith legge in tv i risultati della Premier League – ma soprattutto: ci sono tutti quei dischi dei Fall.
Allora chiedo ancora scusa per le ripetizioni con un pezzo che chiude il cerchio.

Repetition (The Fall, 1978)

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