di Francesca Ambrosecchia
Le tecniche di persuasione e manipolazione, oggi utilizzate ampiamente nel contesto pubblicitario, pongono le loro radici tempo addietro.
Quante volte troviamo una pubblicità, convincente a tal punto da interessarci al prodotto che ne è il protagonista? È una cosa abbastanza comune. D’altronde il settore pubblicitario ha proprio questo come obiettivo.
La pubblicità deve attirare l’attenzione e deve convincere il soggetto ad acquistare un determinato bene: lo scopo di queste campagne è sicuramente lecito, nell’ottica del mercato, ma lo è altrettanto da un punto di vista etico? Qui entra in gioco la persuasione.
È opportuno domandarsi se giocare sull’inconscio e sull’emotività sia qualcosa di opportuno in tale ambito. L’attenzione cognitiva dello spettatore, soprattutto in alcuni momenti, è limitata ed è qui che inizia la corsa: alcuni spot sanno “dove colpire” la generalità o una cerchia più ristretta di individui e lo possono fare anche solo attraverso alcuni elementi, studiati appositamente per non essere rimossi dai singoli.
Tipica è l’attenzione nei riguardi di determinati target e nell’associare un dato prodotto ad una situazione ideale a cui si aspira: si arriva a pensare che solo possedendo un certo bene si acquisisca un determinato status e quindi un certo ruolo all’interno della società.
Tanto veniamo spinti verso questa tendenza, tanto più ci uniformiamo: tutti con gli stessi abiti, con gli stessi telefoni e così via.
“La pubblicità non è una scienza. È persuasione. E la persuasione è un’arte”
William Bernbach
Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la settimana…
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Redazione di Periscopio
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