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Da Paolo Giardini

L’entusiasmo in Comune è alle stelle. La mitica Calotta herana sta collocando Ferrara fra gli “High Fashion Slums”, un settore chiaramente di nicchia. Ciononostante, un invidioso consigliere d’opposizione trova il pelo nell’uovo facendo notare una coppia di carenze nel gioiello herano: l’inesistente marcatura CE e l’inesistente sicurezza igienica della leva manuale.
Peccato che la coppia sia storpia: la prima carenza è incontestabile, la seconda no. “L’è ‘na scarpa e ‘na zavata”, si usa dire. E non può sfuggire, neppure a chi ama Hera con lo stesso entusiasmo di Catone per Cartagine, che tanto scrupolo igienico stride con l’indifferenza per tutto il resto in città, dalle tastiere bancomat lerce, ai soldi pieni di batteri passati di mano in mano senza guanti, ai carrelli della spesa afferrati anche da chi ha la rogna, e così via.

La marcatura CE, invece, è questione seria. In Europa è un diritto consolidato per tutti i consumatori e un dovere per chi immette in commercio dei prodotti.
Finora le Calotte herane spacciate a Ferrara sono senza il CE (che non vuol dire China Export), forse per implicita ammissione che l’accrocco è hi-tech come una grattugie a manovella; oppure significa che Hera, considerando Ferrara di sua proprietà (come risulta anche ai ferraresi) lasci perdere le Norme, che sono l’ultima preoccupazione quando si sbrigano le faccende in casa propria. Nulla di strano, pure la giudiziosa nomenklatura sovietica si comportava così.

Comunque sia, fuori dal cortile di Hera la sua Calotta senza la marcatura CE è fuorilegge, dato che l’obbligo del marchio vige per tutti i prodotti contemplati in una direttiva comunitaria, e le Direttive riguardanti a vario titolo la Calotta non mancano. Per individuarle è facile, basta farsi qualche semplice domanda per chiarire, con le risposte, se la Calotta herana debba avere il marchio CE. Eccone alcune, le più intuitive:
1 – È un apparecchio prodotto e venduto in Europa? (Non dimenticando che l’Italia si trova ancora in Europa, per quanto a molti possa sembrare strano.)
2 – È anche uno strumento di misura, almeno in una delle varie accezioni del termine?
3 – È un prodotto con equipaggiamenti elettronici interni di comando e raccolta dati, che in caso di rottura, guasto o malfunzionamento provoca disservizi pubblici e perdita di dati sensibili?
4 – È realizzata da un costruttore diverso da quello del cassonetto in cui viene collocata? Cioè venduta (in Europa) da azienda diversa da quella che fornisce ad Hera il prodotto assemblato che vediamo?
Le risposte esatte corrispondono tutte a “SI”, ovviamente. E ad ogni SI corrisponde una Direttiva riconducibile all’obbligo della Marcatura CE. Risultato divertente, no? Chissà se i consiglieri comunali di maggioranza, i serissimi votanti a scatola chiusa per definizione, riusciranno a cogliere l’umorismo di questi SI che suonano esattamente come quelli devotamente pronunciati da loro obbedendo agli ordini ricevuti dal partito e/o da Hera. Ma non lo sapremo mai, immagino.

Paolo Giardini

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