LA CITTA’ DELLA CONOSCENZA
Religione, dialogo, ragione
È sembrato normale che da Assisi, nella giornata dedicata al patrono d’Italia, la ministra dell’istruzione annunciasse l’arrivo in tutte le scuole del “Calendario del Dialogo. Le Feste delle Comunità” come strumento che le istituzioni scolastiche potranno utilizzare per riflettere sui temi del valore del dono e del dialogo interreligioso.
Mi chiedo perché una scuola laica debba promuovere il dialogo interreligioso, quando le dottrine religiose di per sé non sono dialogo. Sono fede, mito, simboli, dogmi. Elementi che vanno accettati per quello che sono, ma che non si prestano al dialogo, semmai al discorso, alla narrazione, ma né l’uno né l’altro sono dialogo. Tra l’altro non mi sembra che il mondo brilli per il dialogo interreligioso.
Ogni religione crede a se stessa e poi c’è un assunto che uccide ogni dialogo: ogni religione è un a priori.
Ancora una volta nelle nostre scuole l’irrazionale irrompe sul razionale.
Perché il luogo che dovrebbe crescere menti allenate al pensiero critico, al pensiero scientifico continua a coltivare le antinomie come quella tra ragione e fede, in nome del pluralismo e della libertà? Perché un uso palesemente falso di parole così importanti e proprio a scuola?
Le religioni come portatrici di valori universali, come se i valori universali già non risiedessero nella natura e nella ragione dell’uomo, come fossero estranei alla natura umana anche senza dei.
Immagino che se si volesse prendere sul serio l’invito della ministra non basterebbe una giornata per approfondire il senso, la storia, le differenze tra le feste religiose in calendario per ogni giorno dell’anno scolastico.
Ci troviamo di fronte all’introduzione nelle nostre aule per circolare, in modo a dir poco surrettizio, dell’educazione interreligiosa oltre a quella confessionale.
A questo punto bisogna decidere delle due l’una. Entrambe non possono coesistere. Che educazione interreligiosa sarebbe se una religione viene poi privilegiata sulle altre?
Francamente mi sembra troppo e soprattutto mi preoccupa cosa potrebbe accadere nelle sezioni di scuola dell’infanzia e nelle classi delle scuole elementari, con bambini che non hanno gli strumenti per discernere tra mito e realtà, tra ragione e fantasia.
Il calendario è cosa delicata, storicamente le religioni si sono impadronite del tempo, perché il tempo è potere sugli uomini.
Meglio sarebbe stato un calendario del tempo liberato dalla sovranità degli dei e degli imperatori, un calendario dei diritti, dei diritti conquistati nei vari paesi del mondo dalle donne e dagli uomini, un calendario interculturale di formazione alla cittadinanza per tutti.
Se si vuole fare intercultura le scuole approfittino d’essere cablate per comunicare con il mondo, per mondializzare il pensiero attraverso il dialogo in rete con le scuole e le università del mondo, per gettare le basi di una buona cooperazione mondiale, come condizione per apprendere la comprensione, la tolleranza, il riconoscimento dell’altro.
Se questo non parte dalle scuole del mondo, da chi deve partire? Altro che calendari interreligiosi; oggi le scuole hanno in mano strumenti potentissimi per la comprensione e la conoscenza reciproca.
Tutti gli studenti del mondo hanno un bisogno urgente e prioritario che non è il recinto angusto delle religioni, ma il respiro di una cittadinanza eterogenea in un mondo ancora più eterogeneo, il bisogno di conoscere non attraverso gli almanacchi, ma attraverso i legami che oggi consente la rete, di comprendere qualcosa della storia e del carattere dei differenti gruppi che lo abitano.
Non è con il Calendario del Dialogo che possono essere abbattuti i più banali stereotipi culturali e religiosi che abbondano nel nostro mondo, i giovani hanno bisogno di relazionarsi, di dialogare tra loro e non attraverso le trovate di una comunità preoccupata più di se stessa che del loro sviluppo personale.
Oggi i giovani nelle nostre istituzioni scolastiche hanno l’opportunità di comunicare in tempo reale tra loro da un capo all’altro del mondo. Questo grande dialogo, questa grande interazione deve partire dalle nostre scuole e invadere l’etere. Dialogare per comprendere le reciproche differenze e incontrarsi sulle reciproche comprensioni.
Di fronte a un mondo così vasto, di fronte alla possibilità di un pensiero globale in fermento, il dialogo non può soffocare nell’angustia di un calendario interreligioso.
Il compito della scuola è sempre quello di essere palestra della ragione, d’essere vigile sui possibili nemici della ragione, specie se questi vengono allevati fin dalle età più tenere dei suoi studenti. Compito principale della scuola è quello di crescere cittadini della ragione, e non della religione, per un’intelligente cittadinanza del mondo.

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Giovanni Fioravanti
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)