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La scorsa primavera estate a Venezia, Palazzo Zenobio un esempio di ritorno dell’avanguardia visiva nella mostra in progress (a più tappe e altre puntate prossimamente altrove) “L’Ombra del Moloch” a cura di Annarita Rossi, animatrice culturale. Tra gli artisti il celebre Simon Gaon massimo esponente dei Street Painters, ultimo maestro del Post-Espressionismo americano, alcuni nuovi talenti italiani (Giancarlo Petrini, artista marchigiano, Sergio Zagallo: artista veneto di Campolongo Maggiore) e il ferrarese Carlo Andreoli, detto Alo.

La mostra a tappe primavera/estate da te curata a Venezia (Palazzo Zenobio…) un approfondimento?
(Annarita Rossi) In questo momento lavoro per più mostre, e in particolare per quella che sarà il prosieguo de “L’ombra del Moloch” di Venezia. Questa mostra probabilmente con titolo cambiato, sarà a Vicenza approfondendone il concetto e sviluppandolo in riferimento all’oggi e al futuro. Inizierà il 7 ottobre in concomitanza con la mostra di Van Gogh.
L’esposizione appena conclusa “L’ombra del Moloch” da me curata in collaborazione con Robert C. Phillips.è stata presente dal 13 maggio al 6 agosto all’interno di Palazzo Zenobio a Venezia, a fianco dei padiglioni Tibet e Armenia.
L’esposizione parte da una linea ideale, tracciata assieme ad un giovane critico e scrittore di testi per il teatro, Simone Di Via, e prosegue nelle prossime esposizioni, con la collaborazione del dott. Luigi Mazzardo.
In una sorta di “collettiva” gli artisti sono stati proposti a due a due, per 2 settimane a coppia, articolando un continuo ed ideale dialogo artistico, concluso da una esposizione corale sintesi di un tragitto tra le opere dei vari artisti poste come simboli, o totem,di un idea di base originale, costituto dalla poesia di Allen Ginsberg “L’urlo”.
Tra le cose certe delle esistenze, c’è anche un incubo: l’incontro, prima o poi, con la disfatta di tutti gli ideali, con lo sgretolarsi di ogni sicurezza, con l’impossibilità di trovare una redenzione. L’esistenza appare, si mostra, refrattaria all’incolumità. Ogni incontro è minaccia di scontro. Come sulle sabbie mobili ogni passo peggiora le cose.. Ogni giorno la gente d’Occidente . nella potentissima versione dell’incubo prodotta da Ginsberg svende un pezzo della propria anima per innalzare Moloch al cielo. Storpia la propria Natura per deificare questa cattedrale di luci corrotte. Sacrifica e spegne la propria luce per tenere acceso il Moloch.
Ne abbiamo fatto un Dio e i suoi angeli ci sussurrano bisogni artificiali di cui ormai non possiamo fare a meno. Angeli dai nomi già mitici, qui in occidente, come in qualsiasi città globalizzata Asiatica o Medio-Orientale che s’illude che l’idea di moderno Occidentale sia in qualche misura salvifica.
Da questo racconto dell’incubo siamo partiti, per esplorarne , decenni dopo, la capacità di dominare le coscienze, le esistenze, l’arte stessa. Per superarla, liberandocene, eventualmente.

Più nello specifico, tra gli protagonisti artisti di questa mostra in progress, che segnala secondo molti critici un ritorno sempre più raro in Italia a certe dinamiche di avanguardia persuasiva., hai-avete- selezionato il ferrarese neopop Alo (Carlo Andreoli), una tua nota critica? Oltre certo manierismo oggi prevalente?
Carlo Andreoli (Alo) è un artista ferrarese (Bondeno), la cui esisitenza sembra rispecchiare perfettamente quella del personaggio protagonista della sua arte, “arte dichiarativa al cubo” come viene giustamente definita, nei suoi suoi potentissimi messaggi e nella sua sostanza.
“Distruzione, creazione, penetrazione della realtà” sono i termini usati da Alo nel descrivere le sue prime azioni sulla materia, senza motivo o meta.
Artista quasi indefinibile e forse il più dìfficile da allineare a stili artistici o racchiudere in uno schema, Andreoli fa respirare a pieni polmoni, restituisce pensieri liberi da qualsiasi senso di oppressione. Lui che racconta di oppressione, di ingiustizia e dolore, paradossalmente, raccontando e dichiarando, ce ne libera, ci solleva dal peso, con un volo nel pop, col suo sarcasmo “ridente”, con la sua prorompente positività a dispetto di tutto.
Il critico Lucio Scardino nel raccontare di Alo e delle sue opere, adopera con disinvoltura termini come “enciclopedico, fantasmagorico” ed ancora non basta. Oppure… il grande Fabio Musati nel descrivere l’amico e artista Alo :
“Alo, nome breve, veloce, aereo. Un soffio d’aria, un alito, un respiro, un’onda del mare, un granello di sale. Ci si abitua a fatica a quel nome, difficile proprio perchè così facile, ma quando si fissa nella memoria non ne esce più, come non ne esce più lui, il mio amico Alo. Solo standogli vicino e osservandolo negli occhi si può cogliere quel travaglio interiore che si porta appresso,quello sconquasso silenzioso di sensazioni che deve sentire e che lui ci restituisce con la sua arte composita.Solo da molto vicino si può sentire quello sbattere d’ali, come un debole fruscio che a tratti pare come un piccolo suono di tromba, un alo appunto” .
Alo è figlio degli anni cosiddetti “di piombo” e senza staccarsi dall’impegno sostenuto da un’attenta coscienza sociale, è con il marchio dell’ironia che affronta l’oggi delle ingiustizie, con suggestioni pittoriche che riportano a Pollok e Basquiat e che affronta anche con opere come “L’afrika ha un occhio solo” .
In una sua opera giovanile, accostando S. Giorgio ad una sua foto, appare la scritta “Da morto mettetemi in un posacenere. Grazie!”

Info
Annarita Rossi- (Anna Je Reste Anna) Facebook
Carlo Andreoli Facebook
Ombra del Moloch Art Tribune

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Roby Guerra



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