OGM: Coldiretti, no di 8 italiani su 10, nuove norme li difendono
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Da Ufficio stampa
Sentenza Corte di Giustizia superata da nuova legislazione. In Emilia Romagna tutelati, tra gli atri, 44 prodotti a denominazione di origine e 387 prodotti tipici.
Quasi 8 cittadini su 10 (76 per cento) si oppongono oggi al biotech nei campi che in Italia sono giustamente vietati in forma strutturale dalla nuova normativa. E’ quanto emerge da una indagine Coldiretti/Ixe’ divulgata in occasione della sentenza emessa dalla Corte di giustizia europea sul caso di un agricoltore del 2014 che si riferisce ad un quadro normativo ormai passato e del tutto superato. L’Italia – sottolinea Coldiretti Emilia Romagna – è infatti tra la maggioranza dei Paesi membri dell’Unione che ha scelto di vietare la semina di Ogm sulla base della direttiva Ue approvata nel 2015. “Per l’Italia gli organismi geneticamente modificati in agricoltura non pongono solo seri problemi di sicurezza ambientale, ma soprattutto perseguono un modello di sviluppo che è il grande alleato dell’omologazione e il grande nemico del Made in Italy” afferma il presidente di Coldiretti Emilia Romagna, Mauro Tonello. L’agricoltura italiana – prosegue Coldiretti regionale – è diventata la più green d’Europa con il maggior numero di certificazioni alimentari a livello comunitario per prodotti a denominazione di origine Dop/Igp che in Emilia Romagna sono rappresentati da 44 prodotti a denominazione d’origine e 387 prodotti iscritti all’Albo nazionale dei prodotti tipici. Si tratta di prodotti – ribadisce Coldiretti regionale – che salvaguardano tradizione e biodiversità, che si concretizzano nella leadership del numero di imprese che coltivano biologico, nella più vasta rete di aziende agricole e mercati di vendita a chilometri zero, che non devono percorrere lunghe distanze con mezzi di trasporto inquinanti, ma anche con la minor incidenza di prodotti agroalimentari con residui chimici fuori norma e con la decisione – conclude la Coldiretti – di non coltivare organismi geneticamente modificati, come avviene peraltro in 23 Paesi sui 28 dell’Unione Europea.
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