Oggi, 1° maggio, Festa dei Lavoratori, vorrei raccontare la storia di un lavoratore davvero speciale.
Ricordo ancora come se fosse ieri il giorno in cui mia madre – grandissima fan del grandissimo Tognazzi – si lasciò sfuggire le parole “Il Petomane”.
Mi spiegò il significato della parola “petomane” e mi spiegò che era anche il titolo di un film del 1983 con Ugo Tognazzi, un film che non ebbe troppa fortuna ma che da quel giorno – saranno passati vent’anni – ho cercato ossessivamente perché in fondo sono sempre stato un ragazzo semplice.
Non riesco proprio a non ridere davanti a un peto lanciato così, con naturalezza, simpatia o gusto per la performance.
Questa cosa a volte ha creato degli equivoci sulla mia persona e a volte mi ha creato anche dei problemi.
Ma il più delle volte mi ha portato solo la gioia più autentica, una gioia che mi trasforma letteralmente in un bambino.
Devo confessare che nei miei momenti un po’ così, spesso, vado su YouTube e mi riguardo la fenomenale “scorreggia di ippopotamo”.
È una delle cose più divertenti ed emozionanti – ma al tempo stesso tragiche – della storia delle immagini.
Divertente per ovvi motivi, se siete come me.
Emozionanti anche.
E tragiche perché il povero ippopotamo, purtroppo, è rinchiuso in uno zoo con la gente che gli ride dietro ma quella è solo la punta dell’iceberg.
La cosa davvero tragica è che quel ridere non è proprio un bel ridere.
Non è quel ridere che scatta – sempre se siete come me – quando un vostro amico si mette di schiena sopra al tavolo per incendiare un peto provocando una vampata degna del Gibby dei tempi d’oro.
È un ridere orrendo, il ridere di chi tratta quel povero ippopotamo non come un meraviglioso attore del meraviglioso palcoscenico della natura bensì come un mero fenomeno da baraccone.
Quel povero ippopotamo – animale davvero maestoso – non merita quel trattamento, lui fa solo la sua cosa e per sua sfortuna la fa in uno zoo davanti a della gente orribile che va allo zoo con lo stesso interesse con cui va boh, all’Ipercoop o da McDonald’s o boh, con lo stesso piglio che han certi riccastri che vanno alla Scala quando si apre la stagione della Scala.
Insomma, ci siamo capiti.
E chiedo scusa se sto divagando quindi faccio subito un po’ di chiarezza: il lavoratore speciale in questo caso non è Tognazzi.
Il lavoratore speciale è Joseph Pujol, detto appunto “Le Pétomane”.
Quando mia madre mi raccontò di quel film – che tra l’altro a lei non era neanche piaciuto troppo – non mi spiegò che era ispirato a una storia vera.
Così, anni dopo – indagando su quel film che mia madre bollò come una vera e propria scoreggia nello spazio – finii per scoprire la vera storia di Joseph Pujol, il petomane del Moulin Rouge.
Provai subito un’enorme ammirazione per quell’uomo.
Joseph Pujol nacque a Marsiglia il 1° giugno del 1857.
Pare che a tre anni circa, al mare, si sia reso conto – trattenendo il respiro in acqua – di essere in possesso della più portentosa muscolatura posteriore della storia dell’uomo.
Praticamente: riusciva a bere col culo, scusate il francesismo.
Consultò anche dei dottori, sembra.
I dottori dissero che non era un problema e lui non ci pensò più.
Però anni dopo, durante il servizio militare, raccontò ai suoi commilitoni quella cosa e, da quel momento, riscoprì quel suo talento così peculiare.
Nel frattempo, dai 13 anni di età circa, era diventato il garzone di un panettiere prima e un panettiere in proprio poi.
Ma dopo aver riscoperto la propria vocazione si dedicò a un allenamento matto e disperatissimo.
Finì quindi per ideare uno spettacolo dimostrativo da proporre a qualche teatro locale.
Nel frattempo si era sposato e il suo forno andava benissimo ma la fama del suo talento si era sparsa così tanto che un impresario gli consigliò di proporre il proprio demo a un Moulin Rouge fresco di apertura.
Così, nel 1892, il buon Pujol partì per Parigi, pronto per la sua audizione.
E l’audizione andò decisamente meglio di quella famosa audizione dei Beatles alla Decca, quell’audizione da cui derivò la proverbiale espressione “non aver capito una Decca”.
Perché il sig. Charles Zidler – gran capo del Moulin Rouge – nonostante un iniziale scetticismo di fronte a quell’omone dallo sguardo triste, capì in fretta di trovarsi davanti un talento unico.
E il resto è storia.
Alcune testimonianze dell’epoca descrivono un pubblico isterico a livelli da Beatlemania: donne, che svengono e vengono portate fuori, uomini che se la fanno addosso e via così.
Io non faccio fatica a crederci.
Joseph Pujol andò avanti come uno schiacciasassi fino al 1914.
Successo e soldi, simpatie pressoché unanimi.
Fece anche in tempo a mettersi in proprio, aprendo un suo teatro, il Théâtre Pompadour.
Però, più o meno allo scoppio della Grande Guerra fu costretto a chiuderlo.
Dice suo figlio:
“Dopo l’armistizio del ‘18, mio padre era così amareggiato dalle avversità e dai guai che non ebbe cuore di riprendere la carriera artistica.”
E fu così che Joseph Pujol tornò a fare il fornaio.
Successivamente aprì anche una fabbrica di biscotti e morì quasi novantenne nel 1945.
Quindi che altro dire?
Buon 1° maggio a tutti i lavoratori con un augurio speciale a tutti i disoccupati, inoccupati o diosantissimo ci chiamano adesso.
Possiate Voi – anzi, possiamo Noi – realizzarci veramente nel mondo del lavoro.
Ma soprattutto: possiamo noi (e possiate Voi) far respirare al meglio la nostra (e Vostra) essenza più intima, un po’ come capitò al grande Joseph Pujol.
PS:
Su YouTube si trova un filmino che mostra Joseph Pujol in azione girato da nientepop*dimeno che: Thomas Alva Edison.
Fast (Butthole Surfers, 1988):
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