DIARIO IN PUBBLICO
S’ode a destra uno squillo di tromba, a sinistra risponde
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Trump, Putin, popular, populismo. Uno scoppiettio di labiali che sembrano trombe di guerra (o perrnacchie? A seconda dei casi).
Vorrei continuare a parlare di libri, ma è umano, necessario, doveroso osservare, sgomenti, non solo i venti di guerra ma le ragioni e le cause che li determinano.
Non essendo né politologo né tantomeno politico mi limito a registrare l’aspetto esteriore di chi agita il mondo e ne rispecchia la ‘faccia’. Con Trump sembrerebbe troppo facile: l’assurdità della pannocchia capillare, le labbra atteggiate a disprezzo, il sorrisetto da, direbbero i nonni, ‘me ne impipo’, il passo marzialetto. Tutto un mezzo e mezzo tra una figura che da tragica improvvisamente sembra divenire comica o viceversa. Ma la mossa del lancio dei missili gli è servita, eccome! Forse chi lo ha votato, freneticamente votato, troverà una giustificazione alle chiusure, ai mormorii anti Obama, alla paura per il diverso. Speriamo solo che col sorrisetto non ci mostri la solenne firma di una dichiarazione di guerra totale.
E lo zar Putin? Già se sbagli l’accento diventa Putìn, in ferrarese bambino come vorrebbe dimostrare la sua algida faccetta da bambino cattivo, e si potrebbe immaginare che a ogni parola si accompagni uno ‘sputacchino’ per il mondo e le sue sorti. Ma l’occhietto con lo sguardo a punta di spillo produce angoscia e livore. Lui ci pre-dice: ‘basta un clic e vedrete’.
Poi c’è l’orrore in persona. L’innominabile Assad dal collo di fenicottero e le labbruzze strette come se stesse meditando o facendo cose proibitissime. E le fa, le fa.
Questo è il trio che tiene in mano i destini di ciò che resta del mondo.
Poi i comprimari. Dal presidente cinese figurativamente ‘quasi’ normale d’aspetto, all’oscena, pericolosissima barzelletta del dittatore della Corea del Nord.
Se ci si ricovera in Europa, un’Europa oscillante, muta o gracchiante, che troviamo? Le giacchette sempre più rinnovantesi della Merkel in preda a furore di cambio (di colore), l’imponente lato b di Hollande che sale le scale con passo solenne, ma viene impietosamente ritratto di spalle. Il pericolosissimo Erdogan che gioca a palla con la testa forse pensando sia il mondo. Gli altri? Contorni.
E in Italia?
Beh, dovessi rifarmi alla rappresentazione più sarcastica premierei i ‘noiosos’ di Crozza: Padoan, Gentiloni, Mattarella. Tre persone di rilievo che interpretano una idea di politica seria, non eclatante, a cui non siamo più abituati.
Renzi sempre più panciuto e in preda alla gorgia della pronuncia rignanese; i baffi tremuli di d’Alema sempre più parlante con voce impostata da ‘so tutto mì’; la bavetta nera di Salvini; il collo di Berlusconi esibito dalla mancanza di camicia che sorregge un viso senza più occhi; i riccioli bianchi (e non d’oro) del Grillo parlante, l’accento di Bersani che pettina non certo i lama, ma nemmeno le pecorelle, e via via fino all’ultimo dei peones con trolley e zainetto.
Così sempre più trepidando torno alle sorti del libro: dei libri.
Se ho avuto il conforto di molte letture e commenti, certamente la situazione rimane immobile e senza possibilità di mutamento.
Da una parte mi si rimprovera un pessimismo che a fronte di alcuni risultati positivi della destinazione dei libri o di intere biblioteche specializzate non tiene poi conto della tragicità della situazione denunciata dagli articoli di Tomaso Montanari.
A conforto m’arriva questa mail di Salvatore Settis.
“Caro Gianni, leggo sempre quel che mi mandi, e di solito non ti disturbo rispondendoti. Stavolta sì, perché sono in Usa per un paio di mesi, e fra le cose che ho visto in questo Paese dilaniato dalla presidenza Trump c’è uno slogan che gira fra universitari etc., rimaneggiando quelli di Trump. Questo: Make America read again!
Se gli americani avessero letto (in media) di più, non avremmo un presidente come Trump… Un carissimo saluto, S.”
Una risposta che mi conforta, ma che mi preoccupa ancor di più.
Non è che non ci sia spazio per ricoverare le biblioteche: questo è un problema collaterale. Il vero, inaudito fatto è che non si legge.
In questi giorni mi sono recato alla Scuola Normale Superiore di Pisa, accolto da Lina Bolzoni e accompagnato dal dottor Spinelli, direttore della Biblioteca Ariostea di Ferrara. Rappresentiamo la giunta esecutiva, assieme a Ernesto Ferrero, del Comitato per la celebrazione dell’Orlando furioso 1516. Passeggiando per le nobili sale del Palazzo dei Cavalieri, sede della Normale, rivedendo luoghi che alla bellezza accompagnano la sapienza – le due formule che foscolianamente sono rimedio unico ai mali – progettavamo i nostri impegni futuri, quando sia Bolzoni sia Spinelli arriveranno a scadenza dei loro incarichi istituzionali. Sia Lina che io domandiamo a Spinelli se sarà protratta la sua permanenza all’Ariostea in quanto l’anno prossimo il direttore andrà in pensione. Siamo così informati che non solo non si parla ancora di bando di concorso, ma che un silenzio assoluto permea la scelta. Improvvisamente mi si spalanca un dubbio: che anche l’Ariostea diventi una tra le destinazioni museali e venga ‘ricoverata’ sotto un Museo? E con Bolzoni si pensava quale patrimonio rappresentino le favolose raccolte dell’Ariostea per la nostra storia e per il nostro presente. E soprattutto quanta dedizione, competenza qualità l’attuale direttore abbia profuso nel mantenerle e nel divulgarle.
Siano consapevoli i nostri amministratori che la grandezza di Ferrara non è solo il Castello o il Palazzo dei Diamanti o Schifanoia ma le carte, i libri, che la nostra meravigliosa Biblioteca ospita e da cui s’irraggia quella sapienza che, come riporta Settis, è perduta o dimenticata da chi non legge.
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Gianni Venturi
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