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“Ferrara è maglia nera in regione”: “11.534 occupati in meno” nel 2016 rispetto al 2008, con una diminuzione del 7,3% nell’intervallo considerato. A consegnare questo triste primato al nostro territorio sono le cifre enumerate da Giuliano Guietti, presidente di Ires Emilia Romagna, nella sua relazione sul mercato del lavoro in Emilia Romagna, lunedì pomeriggio in occasione dell’incontro ‘Cavallo di Troia. Voucher: “buoni” per oscurare lavoro e tutele’, organizzato dalla Cgil di Ferrara presso la Camera di Commercio in largo Castello.
Un dato ancora più deludente se si guarda ai 21.000 occupati in più della provincia di Bologna (+4,7%) e soprattutto se si considera che l’Emilia Romagna è stata nel 2016 la regione con “la crescita più alta” fra quelle italiane (+1,6%) e che “è la seconda fra le regioni italiane, dietro solo al Trentino Alto Adige”, per crescita del tasso di occupazione. Non c’è però da cantar vittoria: con il 68,4% del 2016 “il tasso di occupazione è ancora inferiore rispetto al 2008”, quando era intorno al 70,2%.
Per quanto riguarda il rovescio della medaglia, cioè il tasso di disoccupazione, anche qui ci sono luci e ombre: “negli ultimi due anni assistiamo a una tendenza al calo e meglio di noi fanno solo Trentino e Veneto, ma rimane ancora il doppio rispetto a quello del 2008”, ha spiegato Guietti.

Il presidente di Ires Emilia Romagna ha poi mostrato alcuni grafici con elaborazioni di dati Istat sulla popolazione di età superiore a 15 anni: nel 2008 gli inattivi erano il 45%, i disoccupati l’1,8% e gli occupati 53,2 %; nel 2016 i primi e gli ultimi scendono al 44,7% e al 51,5%, mentre i secondi crescono del 2%, salendo al 3,8%. Guietti però ha precisato che, a ben vedere, quella flessione degli occupati (-1,7%) si trasforma in un -2,1% di lavoro autonomo e +0,3% di lavoro dipendente. Analizzando poi i contratti dipendenti si scopre che quelli a termine sono cresciuti del 3,1%, mentre quelli a tempo indeterminato sono diminuiti dello 0,9%. Dunque, ha sottolineato Guietti: “con buona pace del jobs act, anche in Emilia Romagna gli occupati a tempo indeterminato sono calati a fronte di un aumento dei contratti a termine”.
Un’altra tendenza del mercato del lavoro in Emilia Romagna su cui Guietti ha voluto mettere l’accento è “la polarizzazione per fasce d’età”: il tasso di occupazione nella “fascia 55-64 anni dal 2010 ha continuato a salire”, soprattutto “dal 2012 con la legge Fornero”, mentre “tra i 25 e i 34 anni cala drammaticamente”. Una situazione ancora più preoccupante perché contestualmente calano i residenti nella stessa fascia d’età, perciò la percentuale dovrebbe crescere o rimanere stazionaria: nel 2008 c’erano 560.000 giovani, con un tasso di occupazione del 91,3%; nel 2016 i trentenni residenti in Emilia Romagna sono scesi a 460.000 e il tasso di occupazione contestualmente si è abbassato fino all’86,5%. “Questa è la generazione che rischia di essere la più penalizzata dalla crisi”: è l’allarme lanciato dal presidente Ires.

Guietti ha chiuso il proprio intervento sul tema scottante dei voucher, che fra 2009 e 2016 hanno subito una vera e propria “esplosione”. Secondo lui “la cosa meno chiara è dove questa esplosione sia avvenuta”: “molti commentatori parlano di uno strumento per i lavoretti, ma giardinaggio, lavori domestici, manifestazioni culturali e sportive, attività agricole, sono rimasti residuali, l’esplosione si è avuta nei settori del commercio, del turismo, e delle altre attività, dove nel 2016 si registra un +46,8%”.
Ora che il governo Gentiloni ha deciso, forse anche in vista del referendum del 28 maggio, di abolire questo strumento, cosa ci si può aspettare? A Gianluca De Angelis, ricercatore Ires Emilia Romagna e autore insieme a Marco Marrone di una ricerca su voucher e lavoro accessorio in Italia e in Emilia Romagna (scaricabile a questo link), il compito di rispondere alle critiche sulla decisione del Governo.
In Emilia Romagna i voucher fra 2014 e 2015 sono cresciuti del 31,5%, a Ferrara del 24,1%; eppure è interessante notare come il loro impiego sia sceso del 13,9% nel settore agricolo a fronte di un’impennata del 76,8% in quelle che l’Inps classifica come ‘altre attività’.
Per quanto riguarda il collegamento fra emersione del lavoro irregolare e voucher, fatto da coloro che paventano un ritorno del primo a causa dell’abolizione dei secondi, De Angelis ha voluto riportare le interviste fatte nel corso della sua ricerca ai prestatori di lavoro accessorio: per molti “la loro esperienza era paragonabile a quella del lavoro nero”, povero, insicuro, non tutelato e senza garanzie per il futuro. Inoltre i dati sul numero medio di voucher per prestatore di lavoro e quota di lavoratori irregolari a suo parere dati suggeriscono un utilizzo dei voucher in supporto (copertura), non in alternativa al lavoro sommerso. La verità insomma è che “i voucher non regolarizza il lavoro, ma solo il suo pagamento, la transazione economica”.

De Angelis ha cercato di evidenziare come i voucher in realtà siano solo la punta dell’iceberg di un “processo di informalizzazione del lavoro” le cui caratteristiche principali sono: esternalizzazione, sostituzione del lavoro salariato con il lavoro autonomo e del lavoro full time con il lavoro part-time, allungamento e frammentazione della giornata di lavoro. “Questi elementi – ha concluso De Angelis – non si esauriscono con l’abrogazione dello strumento in sè”. Ecco perché il vero tema è comprendere quali cambiamenti – all’interno della crisi, ma non solo – stiano avvenendo nel mondo del lavoro, quale sia l’evoluzione in atto, per capire se e come possiamo governarla.

Per approfondire
Leggi l’articolo di Giuliano Guietti su voucher e lavoro nero da Rassegna Sindacale, pubblicato il 4-04-2017.

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Federica Pezzoli



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