Il crollo degli archetipi ed i disturbi del pensiero nei nativi digitali/3
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di Vincenzo Masini
Si conclude questa settimana l’analisi di Vincenzo Masini sulle problematiche della rivoluzione informatica coi suoi modelli di comunicazione e le sue conseguenze nel pensiero dei nativi digitali.
Il pensiero magico nei nativi digitali
L’informatica e la realtà virtuale propongono stati mentali che amplificano l’esperienza sensoriale e la comunicazione, consentono l’anonimato e la assunzione di altre identità, parificano lo status sociale, ampliano i limiti spaziali e temporali, consentono relazioni multiple, favoriscono la trasgressione e riducono le capacità empatiche.
Nella realtà virtuale vige un continuo rimando all’ipocrisia senza comprendere la pericolosità dell’adattamento ad essa da parte di chi non ne afferra il gioco. Se subisce l’ipocrisia, non la smaschera e non tenta la via dell’evitamento, assume tratti di personalità e di comportamento sintonici con le scene relazionali ipocrite vissute ma distonici rispetto alla sua personale consapevolezza. Ovvero agisce sulla base di copioni di comportamento che cercano di adattarsi alla realtà relazionale senza mai riuscirci pienamente e danneggiando la sua struttura di personalità. Egli perde il contatto con se stesso e si misura con esperienze relazionali di cui non riesce mai ad essere padrone poiché non ne empatizza l’autenticità ed il vero senso. Sviluppa così una regressione al pensiero magico.
Il pensiero magico costituisce un tipo di elaborazione cognitiva in cui manca una relazione causale tra soggetto e oggetto. Alla magia vengono attribuite relazioni causali ma, a differenza della scienza, il magico sottende spesso un errore di base nella correlazione delle cause. Assunto fondamentale del pensiero magico è l’idea di poter influenzare la realtà secondo i pensieri e i desideri personali. Ed anche interpretare la realtà secondo un flusso di pensiero preveggente.
Le credenze magiche risalgono allo stadio preoperatorio, in cui i bambini costruiscono la loro prima interpretazione della realtà. I bambini attribuiscono un’anima agli oggetti, anche inanimati, poiché, nei primi stadi di sviluppo, non fanno distinzione tra realtà esterna e interna; un loro gesto può influenzare il verificarsi di un evento senza legame logico di causa ed effetto.
La visione magica del mondo permane tanto più viene assecondata da storie, tradizioni e rituali che potenziano la capacità immaginativa (…la paura di ciò che c’è nel buio.. il dentino da latte sul davanzale…i personaggi inventati…). I media, i videogiochi, internet e l’apprendimento intuitivo rinforzano il pensiero magico perché propongono sempre di più invenzioni senza distinzione tra fantasia e realtà.
Ciò può produrre la persistenza del pensiero magico (o la regressione a questo stadio del pensiero) oltre la fase preoperatoria fino all’età adulta per motivi difensivi di controllo sulla realtà, propiziatori (con la nascita di veri e propri rituali) e per riempire i vuoti di conoscenza.
L’antinomia tra pensiero magico e pensiero logico è accelerata in questa fase dell’esposizione alla magia dell’informatica: di fronte ad una foto su carta la bimba di tre anni, mentre fa scivolare le dita sull’immagine, esclama: “… ma non si apre!…”.
I disturbi del pensiero nei nativi digitali
L’intuitività del gesto, esercitato su tablet o smartphone, oggettiva un rapporto con la virtualità che precede il contatto corporeo con gli oggetti reali ma non significa competenza informatica. Una ricerca della Bicocca ha smontato il mito della competenza informatica giovanile giacché la loro posizione di utilizzatori non consente di smontare, smanettare, sperimentare. Sono meri utenti costretti in tal posizione dalla tecnologia: non sanno mandare una mail in BCC o che cos’è un sistema operativo, come si istalla un programma, come funzionano le app, ecc..
La rivoluzione informatica ha tradito le sue promesse e, invece di semplificarci la vita, l’ha resa più complessa ed ha costretto le nuove generazione a diventare schiavi di iPad, tablet e smartphone. Non solo ma l’accesso alla rete consentiva di utilizzare mail, Web, ftp, VoIP in un contesto non monopolistico mentre per i nativi digitali Facebook è l’unico sito regolarmente visitato .
Il mondo virtuale offre un prontuario di gesti, espressioni e comportamenti che si appoggiano su operazioni mentali di pensiero magico. Inoltre i video, i film, i videogames scaricati hanno contenuti magici e sostituiscono le antiche favole non più competitive per loro debolezza di forma.
Il nativo digitale pensa magicamente e modifica la realtà a suo piacimento: fa gesti per scongiurare un avvenimento, modifica la realtà con il pensiero, propone le sue associazioni di idee per controllare la realtà, o per esprimere il suo desiderio narcisistico.
Inoltre la logica orizzontale, circolare, senza gerarchia con associazioni analogiche incentrate sulle immagini giunge a simulare la realtà con grande efficacia mobilitando l’attivazione sensoriale ed il pensiero intuitivo. Ipertesti dapprima, link, e finestre (windows) si aprono una dentro l’altra costruendo una forma di pensiero che non gerarchizza i contenuti e non consente la formazione di alcuna mappa. Come una navigazione a vista che ha perso l’obiettivo e la meta.
Questa condizione mentale è anche il punto di arrivo della cosiddetta didattica creativa. A tale forma didattica vanno i meriti di aver destrutturato la rigidità dei saperi ma anche il demerito di essere andata ben oltre le intenzioni e gli obiettivi iniziali diventando autoritaria nel proporsi come l’unica forma di didattica, indipendentemente dalle caratteristiche dell’allievo. La prima conseguenza nelle forme del pensiero dei nativi digitali è la mancanza di mappe di riferimento e di limiti concreti nella cognizione, nelle emozioni e nel comportamento. Inoltre la velocità del pensiero si propone come sfida alle velocità delle connessioni digitali: tanto sono percepite come esasperatamente lente nel tempo di attesa della accensione di un computer, quanto divengono rapide in un passaggio difficile di un videogioco.
La natura dei disturbi del pensiero nei nativi digitali (dalla dislessia al calo di attenzione e iperattività) si manifesta con deficit sensoriali e difficoltà nelle comunicazioni interpersonali. Spesso hanno atteggiamenti eccentrici e sono maldestri nel compiere azioni o lavori pratici. La loro affettività è limitata, o inappropriata, e li conduce a sperimentare con ansia i contatti sociali.
Le distorsioni cognitive che presentano riguardano la forma, la velocità ed anche il contenuto del pensiero che continua a presentare aspetti magici. Non a caso giocano e si suggestionano nell’idea di avere poteri magici perché hanno bisogno di sentirsi speciali e, se non confermati nel narcisismo egocentrico della loro specialità, si sentono abbandonati e delusi.
La loro personalità soffre di un tale disadattamento che, accompagnato da ansia sociale e dalla paura di fallimento nelle relazioni, impedisce loro di costruire rapporti con coetanei. Di rinforzo la loro solitudine alimenta il pensiero magico e le idee bizzarre, la tendenza alla trascuratezza, ed anche episodi deliranti se il soggetto è provocato ed impedito nel suo sforzo di tenere gli altri lontani.
La polarizzazione dei loro comportamenti tendenzialmente disturbati ne è un chiaro riscontro: da un lato quell’insieme di disturbi degli hikikomori, dall’altro il bullismo.
Hikikomori è un termine giapponese che significa “isolarsi” mediante una volontaria reclusione nella propria stanza privi di contatto con altre persone, siano esse famigliari o amici. Tali adolescenti abbandonano la scuola e/o il lavoro, mostrano comportamenti ossessivo-compulsivi, tratti paranoici, manie di persecuzione. Sostituiscono i rapporti sociali con quelli mediati attraverso internet (chat e videogiochi online) girovagando all’interno della propria stanza e perdendo progressivamente competenze sociali, abilità comunicative ed opportunità.
La realtà virtuale ha un ruolo rilevante nell’innesco della dipendenza e dell’esclusione sociale, associata alla pressione sociale verso il successo ed il raggiungimento di mete di eccellenza che a tali giovani sono negate. La frustrazione per i fallimenti scolastici e le delusioni relazionali li chiudono in un processo di ritiro sociale in cui si avvolgono progressivamente.
La loro socializzazione mediante realtà virtuale ha dato forma ad un pensiero intuitivo non mediato dalle relazioni e circoscritto nel rapporto non empatico con il mondo digitale, con manifestazioni emozionali non coerenti.
Indipendentemente dalla specificità del disturbo hikikomori nel contesto giapponese, ma in espansione crescente in altri paesi, molti nativi digitali presentano molti dei disturbi del neuro sviluppo che sembrerebbero collegarsi alla forma delle costellazioni associative del pensiero con ridondanze procedurali, tangenzialità, illogicità, perseverazione, blocchi e deragliamenti.
E’ abbastanza chiaro che tali disturbi della forma del pensiero inducano dissociazioni dalla realtà con percezioni distorte, anticipazioni del pensiero altrui, perdita dei nessi associativi in costellazioni arbitrarie formulate sulla logica della realtà virtuale.
Il secondo modello di risposta disagiata è il bullismo. La mancanza di limiti relazionali oggettivati conduce anche al fenomeno della prepotenza del bullo. La sua aggressività fisica e psicologica tende ad esercitare potere sadico sulla vittima incapace di difendersi. Nel bullo si esprime il compiacimento nel dominio e della affermazione prepotente di se con offese, minacce, esclusioni, maldicenze, furti, rapine, percosse, intimidazioni e soggiogazioni. Anche in questo caso si può ipotizzare un vero e proprio disturbo di pensiero legato all’introiezione di modelli di comportamento del tutto privi di empatia che trovano nel sadismo l’unica dimensione emozionale di godimento. La realtà virtuale, e le immagini splatter su cui indugia la sua letteratura al fine di mobilitare emozioni in chi le assorbe, costruiscono schemi di pensiero in cui la confusione tra l’autentico e lo scherzo si sovrappongono. Ed ecco che il bullo non diviene consapevole dell’orrore del suo gesto. La sua freddezza non perviene a compassione per la vittima poiché la sovrapposizione tra reale e immateriale è divenuta per lui una vera e propria forma mentis.
Vincenzo Masini, 66 anni, genovese, sociologo, psicologo, psicoterapeuta e counselor. E’ stato professore presso l’Università di Palermo, Trapani, Roma “La Sapienza”, Università Pontificia Salesiana, LUMSA, SSIS del Lazio e della Toscana, Università di Siena e Università di Perugia. Studia i processi di relazioni interumane, i conflitti e le affinità interpersonali dagli anni ’80 a partire dall’analisi dei processi criminali (1984, Sociologia di Sagunto: le tipologie di comportamento mafioso, Angeli), devianti e di patologia psicosociale (1993, Droga, Disagio, Devianza, IPREF). Ha analizzato i percorsi di uscita dal disagio nei gruppi sociali (Le comunità per tossicodipendenti, Labos, Ed. T.E.R.; Comunità Terapeutiche e servizi pubblici, Il Mulino;) attraverso l’interazione empatica e linguistica (Empatia e linguaggio, Università per Stranieri, Le Monnier,) e la ricomposizione nelle personalità collettive di gruppo (Personalità collettive in Interessi, valori e società, Angeli). Dirige il progetto nazionale Prevenire è Possibile ed è membro del National Board for Certified Counselor International.
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