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il procuratore generale Roberto Scarpinato
il procuratore generale Roberto Scarpinato

La malattia è cambiata, sono necessari nuovi anticorpi e nuovi strumenti per combatterla.
Questa è la metafora usata lunedì pomeriggio da Roberto Scarpinato per sintetizzare il nuovo orizzonte dell’antimafia oggi. L’occasione è stata l’ultimo appuntamento della Festa della Legalità e della Responsabilità 2016, non a caso intitolato: “La criminalità economica e le sue connessioni con i network politico-mafiosi”.
Roberto Scarpinato non avrebbe bisogno di presentazioni, è una figura storica della lotta sul campo alle organizzazioni mafiose: entrato in magistratura negli anni Ottanta, ha lavorato nel Pool con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ha preso parte ai più importanti processi di mafia del nostro paese, fra i quali quelli per l’omicidio di Pio La Torre, di Piersanti Mattarella, di Carlo Alberto Dalla Chiesa e quello che ha visto coinvolto il senatore Giulio Andreotti, attualmente è Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Palermo ed è a capo del dipartimento Mafia ed economia, che fino ad ora ha sequestrato beni mobili e immobili ai boss per circa tre miliardi e 500 milioni di euro.

Scarpinato ha riassunto in poco più di un’ora la storia delle trasformazioni delle organizzazioni mafiose da vent’anni a questa parte, legandole ai cambiamenti avvenuti nel contesto macroeconomico e macropolitico.
Con la fine della Prima Repubblica è finito anche quel sistema assistenzialista e clientelare che aveva nutrito nel secondo dopoguerra le mafie tradizionali, il cui modus operandi principale era la “predazione” del territorio locale e delle risorse del sistema produttivo attraverso l’estorsione, l’intimidazione e il dominio degli appalti pubblici. Parallelamente, con l’entrata nella moneta unica europea, l’Italia ha perduto la podestà monetaria e sono stati posti rigorosi limiti al bilancio statale. Tutto ciò ha prodotto il drastico contrarsi degli appalti pubblici e la crisi delle aziende, che ha ridotto il numero di soggetti da estorcere, ed è dunque venuto a mancare il denaro: hanno cominciato a mancare “i soldi per il mantenimento delle famiglie dei carcerati o per l’assistenza legale degli affiliati con processi in corso”, ha spiegato Scarpinato, ma soprattutto “è cominciata a mancare la credibilità dei capi”. E dato che il flusso di denaro ha smesso di provenire dallo Stato assistenzialista, le organizzazioni si sono spostate e lo hanno seguito nel libero mercato.
Ecco come è nata quella che il magistrato palermitano ha definito “mafia mercatista”, quella che opera al Centro-Nord. “La mafia mercatista – ci ha detto in una breve intervista che ci ha concesso a margine dell’incontro – è una mafia che si è resa conto che esiste una domanda di massa da parte di migliaia e migliaia di persone e imprenditori ‘normali’, che chiedono sul libero mercato beni e servizi illegali che la mafia produce e commercializza. Per quanto riguarda i cittadini: stupefacenti, prostituzione, gioco d’azzardo, prodotti contraffatti. Per quanto riguarda le imprese: lo smaltimento illegale dei rifiuti, per esempio, che consente di abbattere uno dei costi più importanti delle produzioni industriali”. E quello che è peggio è che “sta cambiando il rapporto con le popolazioni”: la violenza e l’intimidazione scatenavano la reazione, oggi invece le mafie sono “silenti” e instaurano “rapporti di tipo collusivo” sulla base di “interessi personali”, perciò la società civile è meno propensa a reagire.

Al di sopra della mafia mercatista c’è poi un terzo livello, ormai completamente svincolato dal “popolo mafioso”, come lo ha chiamato il giudice: sono “i sistemi criminali integrati”, dai quali la “massomafia” è una delle manifestazioni.
“Massomafia – ci ha spiegato il magistrato – è una definizione con la quale cerco di descrivere un fenomeno che è in corso: all’interno delle organizzazioni criminali classiche si vanno selezionando delle élite di capi, i quali entrano a far parte di super-strutture segrete, spesso logiche massoniche deviate, dove operano altri colletti bianchi, appartenenti anch’essi a élite. All’interno di queste super-strutture segrete si fanno i grandi affari, quelli sull’energia o sulle privatizzazioni, che sono fuori dalla portata della manovalanza criminale. L’esistenza della massomafia è documentata da alcune inchieste giudiziarie, per esempio in un’ordinanza di custodia cautelare dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria viene riportata la conversazione di uno di questi capi, che spiega a un altro adepto come la vecchia ‘ndrangheta popolare è ormai superata ed è destinata soltanto al popolo mafioso che si deve occupare dell’attività ad alto rischio penale, della macelleria criminale, mentre le élite, come afferma questa persona, ormai ragionano come le oligarchie legali”. “Ecco perché – ha continuato Scarpinato – io ho definito questo fenomeno come un’oligarchizzazione del potere, che in qualche modo riflette all’interno della società civile illegale quello che sta avvenendo nella società legale: il potere si concentra sempre di più verso l’alto e il popolo scivola verso il basso”. E attenzione, ci mette in guardia il magistrato palermitano: “Non è che il popolo mafioso ha bisogno dei vecchi ‘valori’ tradizionali, mentre i capi si sono evoluti. È che la porta si è ristretta, la competizione si è fatta più dura e la selezione della specie rende vincenti i più forti, i più strutturati” da una parte e “le élite” dall’altra, “tutti gli altri si devono accontentare delle briciole o devono tirare la carretta e fare il lavoro sporco, prendendosi tutti i rischi”. Purtroppo il giudice ha confessato che, se è evidente che per contrastare queste trasformazioni occorre “un approccio interculturale che miri a cogliere le connessioni macrosistemiche” fra cambiamenti politici ed economici ed evoluzioni criminali, è anche vero che “mentre la cultura giuridica si interroga sugli strumenti, questi sistemi hanno preso il volo e di molto”. E in questo sono stati agevolati dal fatto che “negli ultimi venti anni la legislazione ha ridotto fortemente il rischio e il costo penale della corruzione”, collante fondamentale delle relazioni collusive che si instaurano fra i soggetti di queste “associazioni criminali miste”. Anche a questo proposito Scarpinato è piuttosto pessimista: “la corruzione ce la dovremo tenere per i prossimi anni”.
La verità è che: “i confini fra l’economia nera illegale e l’economia legale, bianca, sono sempre più sfumati e si allarga sempre più la zona grigia”.

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Fino a qui i cambiamenti della mafia, ma – abbiamo chiesto a Scarpinato – in questi anni come è cambiata l’antimafia? “Più ancora di come sia cambiata, a me interessa il fatto che probabilmente l’antimafia tradizionale si trova oggi con strumenti giuridici elaborati e concepiti in una fase storica che è completamente superata, cioè la Prima Repubblica, e dunque deve operare all’interno del nuovo assetto macroeconomico e macropolitico con strumenti che certamente sono superati. È un po’ come se in medicina si volessero curare dei morbi attuali con degli antibiotici messi a punto 25 anni fa senza tenere conto che nel frattempo si sono sviluppati batteri resistenti o che sono mutati divenendo insensibili a quelle medicine. Reati come il 416bis e altri, che erano e sono adeguati nei confronti delle mafie tradizionali, sono sempre meno efficaci nei confronti di quella che la Cassazione ha definito “la mafia silente”, cioè che opera sul territorio senza esercitare un’attività di intimidazione visibile perché cavalca la logica del mercato e offre, in una dinamica di domanda e offerta libera, beni e servizi che le popolazioni locali richiedono perché c’è una convenienza”
Tutto questo ha a che fare con quel fenomeno che il magistrato ha chiamato “legalità sostenibile”, che depotenzia i diritti subordinandoli al mercato. Ci sono periferie, come Scampia a Napoli o lo Zen di Palermo, nelle quali “migliaia di persone sono abbandonate a se stesse, delle quali la politica non si occupa se non in periodo elettorale, che vivono grazie all’economia criminale”. “In un’epoca in cui si progetta di smantellare lo stato sociale e di privatizzare tutto e tutti è chiaro che la società diventa una sorta di grande azienda dove ciascuno diventa imprenditore di se stesso e in competizione con gli altri. Questa società, invece di essere fondata sulla pietra angolare del valore della persona, viene fondata sul valore di scambio dell’individuo”.

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Federica Pezzoli



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