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Spirito del tempo: è un’espressione adottata nella storiografia filosofica otto-novecentesca per indicare la tendenza culturale predominante (alias il ‘comune sentire’) in una determinata epoca. Una categoria interpretativa da cestinare o ancora attuale? Fu Hegel a utilizzarla per tenere in equilibrio la novità dell’emergere della soggettività moderna e la realtà oggettiva del mondo. Aveva capito che la caratteristica strutturale dell’epoca moderna (“…lo spirito dell’inquietudine e dell’instabilità, che caratterizza il nostro tempo…”) fa sì che l’ideale appaia alternativamente o a portata di mano o irraggiungibile. L’individuo moderno raggiunge la maturità quando riconosce che il mondo ha una consistenza che resiste alle sue astratte pretese. Quindi, il primo e indispensabile passaggio è capire il mondo in cui ci è capitato di vivere.

Oggi il mondo è quello della globalizzazione. Tutto si è aggrovigliato e complicato. E il rischio che Hegel intravedeva di una deriva ipocondriaca dell’individuo è aumentato in misura esponenziale. L’avvenire, oscurandosi, ha accentuato la sua natura di assoluta contingenza e appare affollato di forze che sfuggono al controllo degli uomini. Se si dovesse sintetizzare in una parola chiave la caratteristica dello Spirito del tempo di questa epoca non ne trovo una più pregnante di incertezza. L’incertezza si è insinuata negli animi degli individui come normale condizione di esistenza. Bisogna essere consapevoli delle sue conseguenze. L’incertezza è un atteggiamento che mette in crisi i legami sociali, compromette la fiducia reciproca, rende difficile e faticosa l’individuazione di alternative possibili vie d’uscita dalla crisi. E’ inutile pensare di uscire da questa situazione con un semplice atto di volontà.

Ancora una volta è un nuovo pensiero che ci salverà. Con un’avvertenza. Oggi l’impresa è difficile perché mentre il mondo è sempre più interconnesso, il pensiero è debole e frammentato. E per unificarlo non si può più ricorrere a un’ideologia capace di fornire risposte a tutto. Si è fatta più complessa la collaborazione tra la ‘talpa’ della storia che scava, e la ‘civetta’ della filosofia che interpreta. D’altra parte, le risposte del ripiegamento nazionalistico e dei suoi derivati (populismi, plebiscitarismi…) sono pericolose e non fanno che rinviare quelle più adeguate e congruenti con i valori positivi della modernità: la mondializzazione, l’inclusione, la giustizia sociale, la democrazia costituzionale, la libertà individuale responsabile. Ma chi vuole perseguire questa strada deve fare i conti con lo Spirito del tempo, che soffia contro i diritti e il progresso. Un’interessante ricerca realizzata dalla Fondazione Gramsci dell’Emilia-Romagna che ha preso in considerazione mille giovani tra i 18 e i 34 anni, ha confermato come la crisi di futuro abbia abbassato difese e aspettative. L’importante è avere un lavoro. I diritti e le condizioni in cui si svolge non sono considerati importanti. Sembra sia avvenuto un processo di interiorizzazione di una generica colpevolizzazione sulle cause della crisi economica e sociale. L’idea che abbiamo vissuto per troppo tempo al di sopra delle nostre possibilità, che abbiamo esagerato nel welfare, nella spesa pubblica, nei diritti è entrata nelle menti ed è diventata sentire comune. Ecco perché una moderna sinistra riformatrice si trova oggi nelle condizioni di lavorare in salita e contro corrente. Ecco perché il pensiero unico non è cosa banale, né il frutto di un complotto delle multinazionali o dei liberisti cattivi. L’ottimismo della volontà è importante, ma senza l’intelligenza dell’analisi e della proposta si fa poca strada. Ed è cosa scellerata prendersela con le parti maggioritarie delle opinioni pubbliche che non capiscono ciò che al progressista pare così evidente. Forse siamo noi progressisti che non abbiamo capito che cosa hanno significato i crolli di speranze e utopie che animarono tanta parte del secolo scorso!

Ciò che si è sedimentato nel comune sentire è qualcosa di profondo, che ha lasciato una memoria di delusione, fallimento, scetticismo, sfiducia. Gli intellettuali di sinistra voltano pagina in fretta, ma le emozioni e le passioni che hanno fallito non si archiviano a comando. La realtà non si salta. La rosa del futuro è sempre ben conficcata dentro la croce del presente. Ed esiste anche un presente del passato che non è stato elaborato e che continua a condizionare le menti e i cuori. Il mondo si concede solo a chi sa capirlo e cambiarlo nella sua realtà effettuale. Chi se la prende con la realtà perché è uscita fuori dai cardini, può ritrovarsi solo, disperato e/o depresso. Oppure, diventare un gretto conformista. In fondo siamo sempre fermi alla domanda che si faceva un filosofo dei primi dell’Ottocento: “Il mistero è sempre questo: come sorge, come si produce dal vecchio il nuovo che è un ‘non ancora’ esistito nel pensiero?”

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Fiorenzo Baratelli

È direttore dell’Istituto Gramsci di Ferrara. Passioni: filosofia, letteratura, storia e… la ‘bella politica’!


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