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24 Settembre 2016

Confartigianato su Jobs Act

Tempo di lettura: 2 minuti


Da: Confartigianato

Nell’imminenza, domani (lunedì), della discussione del Def (Documento di Economia e Finanza), in Consiglio dei Ministri, come Confartigianato ci preme fare una riflessione sul “vuoto” Jobs Act, che sarà rivisto per migliorare la tracciabilità degli esiti. Propagandato come miracoloso, il provvedimento non ha dato gli effetti sperati. Anzi, forse, non ha prodotto reali effetti. Ne è conferma la mancanza di dati omogenei ad oltre un anno dall’attuazione. Le nuove assunzioni o le stabilizzazioni fatte esclusivamente “grazie” al Jobs Act – non solo dunque “in concomitanza” col Jobs Act – ci sfuggono, non si riescono a misurare. Sui risultati ci sono varie scuole di pensiero – Inps, Istat, Ministero del Lavoro – e questo non dovrebbe succedere. Il fatto è che il Jobs Act rientra tra le agevolazioni di carattere contributivo, che sono diverse e possono convivere. Bene sarebbe stato prevedere, in casa Inps, che il dato fosse da subito scorporato, mentre invece viene fornito aggregato. Quel che senza dubbio si può affermare, è che non ha portato nuova assunzione. Ha portato semmai a stabilizzazioni. Il 95 per cento delle nostre imprese, sul nostro territorio, lo ha utilizzato in questa direzione. Quindi non si è prodotta nuova occupazione. L’introduzione del Jobs Act, ha peraltro coinciso con la modifica dell’ articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Modifica in base alla quale il licenziamento per crisi non prevede più, in termini risarcitori, il reinserimento ma l’indennizzo per anzianità. A ragione si può dunque affermare che le stesse stabilizzazioni, dopo i 3 anni di agevolazioni (8mila euro a dipendente), non fungono da freno per una eventuale ristrutturazione dell’organico in caso di difficoltà. Quel che l’impresa ha risparmiato in contributi (8mila euro l’anno per lavoratore) lo restituisce in indennizzo. Alla fine, l’unico modo per favorire la nuova e aggiuntiva occupazione, è calare il costo del lavoro, senza limitarsi all’abbassamento di Irap e Ires, il cui vantaggio è per la grande industria, che rappresenta meno del 5 per cento delle imprese. Bisogna avere il coraggio di diminuire l’Irpef, che è certamente la più importante entrata per le casse dello Stato. Ma con più soldi in tasca i cittadini spenderebbero di più, si rilancerebbero i consumi, e quindi la produzione, e il vantaggio sarebbe in tutti i campi, commercio compreso.

Giuseppe Vancini, segretario generale Confartigianato
Ricardo Mantovani, responsabile sindacale Confartigianato

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