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25 Aprile – Festa della Liberazione

Articolo pubblicato il 24 Aprile 2020, Scritto da PROVINCIA DI FERRARA

Tempo di lettura: 3 minuti


Da: Ufficio Stampa Provincia

Quest’anno il 25 Aprile ci coglie costretti a osservare vincoli, restrizioni e misure necessarie.
La pandemia in corso limita, per paradosso, libertà, diritti e agibilità delle istituzioni democratiche, che per noi hanno la decisiva data di nascita proprio nella Festa della Liberazione. Tanto che oggi non possiamo celebrarla in piazza, come tutti gli anni.
Per quanto inappropriato, è sorprendente come nel corso di questa drammatica emergenza sanitaria, i termini spesso usati ci riportino alle terribili pagine della storia che oggi ricordiamo.
Leader e capi di Stato hanno più volte detto in questi mesi che siamo in guerra.
È stato chiamato “nemico” il virus contro il quale stiamo combattendo. Se l’ideologia nazifascista corrose le menti con la propaganda, prima di trascinare il mondo in una guerra devastante, ora il “nemico” è più invisibile ma, come allora, mette ugualmente in gioco la vita, la morte e la libertà.
Se con “Roma città aperta”, il memorabile film di Roberto Rossellini, ricordiamo i rastrellamenti nazifascisti, oggi siamo costretti nelle nostre città chiuse, per evitare il diffondersi del contagio, in un silenzio e vuoto surreali.
Quella stessa ondata di terrore condusse alla strage delle Fosse Ardeatine, nel cui anniversario lo scorso 24 marzo il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha pronunciato parole che hanno risuonato come un appello: “Al termine di quegli anni terribili, l’unità del popolo italiano consentì la rinascita della nostra Nazione. La stessa unità che ci è richiesta oggi, in un momento difficile per l’intera comunità”.
Per il sistema sanitario, letteralmente preso d’assalto, si è parlato della necessità di rinforzare il nostro “esercito della salute”, provato da anni di tagli alla spesa, non solo per combattere l’emergenza, ma per essere pronti nel caso simili scenari si ripetano, come gli esperti già stanno ammonendo.
Ai Medici, infermieri e personale sanitario, va il nostro grazie, perché sono la prima linea della “Resistenza”, contro il nuovo nemico che semina morte.
Pensando a loro, vengono in mente le parole che usò Winston Churchill dopo la vittoriosa battaglia nei cieli d’Inghilterra contro l’aviazione nazista, superiore in numero: “Mai così tanti, devono così tanto, a così tanto pochi”.
E penso anche alla Protezione civile, militari, forze di polizia e ai tanti volontari, che danno volto e corpo alle parole sicurezza e solidarietà.
Come disse, però, Tina Merlin, la coraggiosa giornalista che raccontò la tragedia del Vajont: oggi non si può soltanto piangere, ma anche imparare.
Viviamo un tempo in cui simbolicamente manca il respiro, mentre un modello di sviluppo in piena corsa sta recidendo le sorgenti dell’ossigeno nel pianeta. Un mondo nel quale se si sono compiuti passi avanti nel rapporto fra capitale e lavoro, è invece stato banalizzato quello fra capitale e natura.
Suonano come un richiamo tuttora urgente le parole di Primo Levi: “Comprendere e capire perché tutto ciò stia accadendo non è ancora possibile, ma conoscere è un nostro dovere, perché ciò che è stato non si ripeta”.
Un mondo globalizzato compreso nella propria euforica potenza, dovrebbe comprendere che l’innaturale divisione tra forti e deboli sta lasciando il posto a un comune senso di fragilità.
Analogamente al sapere scientifico che, abbandonate le certezze ottocentesche, per sconfiggere il “nemico” ha bisogno anche del nostro “restare a casa”, come di mascherine e camici, colpevolmente lasciati alle leggi del mercato.
I costi sociali ed economici dell’emergenza si annunciano pesantissimi, tanto che si ricorre ancora al clima bellico per invocare un nuovo “Piano Marshall” e se una conferma emerge da questa prova, è che avremmo bisogno di più Europa, non di meno.
Le migliaia di vittime stroncate dal virus sono in gran parte anziani e molti se ne sono andati senza un ultimo saluto dei loro cari, che si porteranno dentro questo magone per sempre.
Andrà tutto bene se sapremo fare tesoro di tanta sofferenza, facendo leva sulle qualità migliori della società e sulla capacità di collaborare insieme, rispondendo in modo positivo all’appello di papa Francesco alla “creatività dell’amore”.
Lo stesso insegnamento che ci consegna il 25 Aprile, nella memoria delle migliori qualità di un Paese che ha lottato per la libertà.
Andrà tutto bene se, uscendo dal linguaggio di guerra, sapremo prenderci cura di noi stessi e del nostro mondo, senza esclusi e consapevoli che nessuno può riuscirci da solo.
Abbiamo tutte le risorse per farcela e per dire anche noi, come canta Francesco De Gregori: “Viva l’Italia colpita al cuore, viva l’Italia che non muore”.

Barbara Paron – Presidente della Provincia

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani