Oltre la bufera: il film su don Minzoni fra storia e poesia
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“Attendo la bufera”, scrisse don Minzoni poco prima di essere ucciso, consapevole che la sua opposizione al fascismo gli sarebbe costata cara. Ma il sacerdote di Argenta aveva una convinzione profonda: “Spendere la vita per un ideale non è morire, è vivere”. E così è stato.
L’esistenza di don Giovanni Minzoni non è finita il 23 agosto del 1923: quasi un secolo ci allontana da quell’omicidio efferato, don Giovanni Minzoni torna a vivere, a far sentire la sua voce nel film ‘Oltre la bufera’. Ideato da Stefano Muroni, scritto da Marco Cassini in collaborazione con Valeria Luzi e Stefano Muroni, il lungometraggio sarà girato ad aprile in quindici location del territorio ferrarese: a Mesola, al Centro etnografico di documentazione del mondo agricolo ferrarese di San Bartolomeo in Bosco, al teatro Concordia di Portomaggiore, alla pieve di san Vito a Ostellato, a Palazzo Crema a Ferrara. Un film ambientato tra il 1919 e il 1923, con costumi e oggetti scenici originali curati da Luigi Bonanno, il costumista di Giuseppe Tornatore. È la prima grande sfida di Controluce, la società di produzione fondata nel 2017 da Cassini, Luzi e Muroni.
La regia di ‘Oltre la bufera’ è affidata a Marco Cassini, che già ha diretto ‘La notte non fa più paura’ e ‘La porta sul buio’: “Titoli scuri – spiega il regista – perché cercano di analizzare l’animo umano alle prese col buio”.
Perché è importante un film dedicato a Don Minzoni per Ferrara e Provincia? A risponderci è Massimo Maisto, vicesindaco e assessore alla cultura di Ferrara: “Questo film è significativo per tre aspetti. In primis è un film dedicato a una persona che è stata ammazzata perché voleva proporre un’idea di educazione alternativa; non è solo un capitolo della storia, ma un tema ancora molto attuale. In secondo luogo, tra i nostri obiettivi c’è quello di valorizzare la creatività giovanile: conosco da qualche anno Stefano Muroni per la sua attività di fondatore e di formatore del Cpa (Centro preformazione attoriale) e ritengo sia importante sostenere e aiutare i giovani talenti. Infine – insieme a Emilia Romagna Film Commission – stiamo facendo un lavoro per promuovere e attirare produzioni cinematografiche a Ferrara e provincia, come già è avvenuto con Pupi Avati, che ha scelto il nostro territorio per girare una nuova serie televisiva. L’obiettivo è valorizzare le risorse professionali, culturali e ambientali del territorio, per garantirne una maggiore visibilità”.
Quali aspetti della storia mette in luce la personalità di Don Minzoni?
La parola questa volta va ad Anna Maria Quarzi, direttrice dell’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara, riferimento per la consulenza storica, grazie ai preziosi materiali custoditi nell’archivio dell’Istituto, tra i quali il famoso ‘Diario’: “Don Minzoni è una figura chiave della nostra storia. Ho trovato molto interessante la proposta di Stefano Muroni, in questo film, di analizzare e mettere al centro la figura dell’educatore, piuttosto di insistere sull’omicidio, che insieme al delitto Matteotti, segna la storia del fascismo. Perché viene ucciso don Minzoni? È proprio la sua opera di educatore che lo rende insopportabile al fascismo. L’educazione dei giovani italiani era uno dei pilastri del regime totalitario di Mussolini: dalla culla ai campi sportivi, poi le divise nere dei Balilla con le esercitazioni ginniche e le grandi manifestazioni. Si trattava di un lavoro capillare sulla popolazione, dalla nascita all’età adulta, per plasmare una mentalità, per formare il ‘fascista perfetto’. Il fatto che ci fosse un sacerdote con un forte ascendente sui giovani – che proponeva cose diverse, come il movimento Scout – era inaccettabile per il regime. Inoltre don Minzoni era un giovane, si interessava alle persone, era riuscito ad organizzare una ‘cooperativa’ bianca dove le donne potevano cucire e lavorare. Gli interessava rendere consapevoli i cittadini. Educava alla libertà”.
Generosità, impegno, coraggio, tenacia: erano i tratti di un uomo dal grande carisma. Don Giovanni – nella sua parrocchia come in guerra – seppe conquistarsi affetto e riconoscimenti, fra cui la medaglia d’argento al valore militare.
“Conoscevo la storia di don Giovanni Minzoni da quando ero bambino. Non ricordo chi me l’avesse raccontata. Ma sentivo l’esigenza, un giorno, di narrarla, per non perderne la memoria, per non farla svanire nel vento”, osserva Muroni, che vestirà i panni di don Minzoni. “Personalmente non ho mai creduto che possano esistere storie di destra o storie di sinistra. Per me, per noi piccoli cantastorie della bassa, esistono solo storie belle o storie meno belle. Da quando ho iniziato questa avventura ho sempre cercato di raccontare storie belle, che potessero commuovere ed emozionare, e che potessero dare un esempio alle future generazioni. La bellezza, dunque, di cui ne abbiamo tanto bisogno. L’armonia nella drammaticità. La favola che supera la storia”.
E quella di don Minzoni è appunto una “storia bella” che Stefano Muroni ha scelto di narrare per immagini. Chiediamo a lui – ideatore, sceneggiatore e attore protagonista – di raccontarci qualche particolare di ‘Oltre la bufera’, le cui riprese sono iniziate proprio in questi giorni di aprile.
Dove ha trovato l’ispirazione per questo film?
Nessuna ispirazione. Le storie soffiano nel vento. Basta solo mettersi in ascolto. Sono loro che scelgono te. Tu hai solo il dovere e la responsabilità di raccontarle. Mi è successo sempre così, fin da bambino. Così sto facendo, con passione ed entusiasmo.
Da quanto tempo ci state lavorando?
Da due anni, se considero il progetto iniziale, poi la scrittura del soggetto e la ricerca finanziamenti. Personalmente da quasi 29 anni: nulla arriva per caso, ma tutto è il risultato delle proprie esperienze, della propria esistenza su questa Terra.
Perché per lei questo film è importante?
Perché parla di noi, del nostro presente, del nostro vicino futuro. Tratta di un uomo, prima che di un prete, che torna dalla trincea con l’anima mutilata, e cerca di portare gioia e coraggio tra la sua gente attraverso l’educazione dei giovani, con la consapevolezza che sarebbe stato ucciso. Ieri come oggi ci sono persone che scambiano l’educazione per strategia politica. Don Minzoni ebbe il coraggio di dire no a questo sistema violento e denigratorio. Pagando con la vita.
Il coraggio di dire no. Ecco perché è importante questo film, questa storia. Per ricordarci che a volte bisogna dire no, costi quel che costi.
Che cosa può insegnare don Minzoni alle giovani generazioni?
Quella di don Minzoni era una generazione che non possedeva nulla: non aveva soldi per comprarsi le scarpe o una camicia. C’era gente che non vedeva un pasto al giorno. Alcuni avevano perso il marito, o il fratello, o il padre in guerra. Non avevano nulla se non gli ideali. Sia da una parte che dall’altra. Ideali giusti o sbagliati. Ma lottavano per qualcosa. Ecco l’esempio di don Minzoni che ci parla ancora oggi, l’enigma eterno da risolvere: vivere per niente o morire per qualcosa.
Che cosa rappresenta un film come questo per Ferrara?
Intanto un tempo e uno spazio di riflessione sul presente. Ricordarsi che gli estremismi portano inevitabilmente a scontri spesso violenti. E la storia a volte si ripete. Forse non insegna, purtroppo, ma si ripete ancora oggi. Ce lo dice l’attualità. E poi ritorna il cinema a Ferrara, nel ferrarese, fatto da ferraresi, dopo ‘La notte non fa più paura’. Voglio dimostrare che anche qui, nella mia terra, è possibile fare cinema di alta qualità, con la professionalità di gente del posto. E che ‘La notte’ non è stato solo un caso, ma può diventare la regola.
Come vi siete documentati per ricostruire la vicenda storica?
Leggendo tutti i libri storici presenti, i diari, andando al museo di Argenta dedicato a don Giovanni, parlando con Anna Maria Quarzi, con lo storico Giuseppe Muroni, ma anche respirando l’aria dei posti dove ha vissuto il nostro protagonista.
Qual è il rapporto tra storia e finzione? Tra fatti documentati e poesia?
La biografia di alcuni personaggi realmente esistiti non era suffragata dalla sufficiente documentazione, così abbiamo cercato di immaginare alcune loro azioni, rendendo il tutto molto verosimile. La poesia? Ce ne sarà molta, nonostante sia un film anche molto violento. Ma non dico ancora nulla.
Qual è la frase più bella della vostra sceneggiatura?
Secondo me quella che pronuncia don Minzoni al ricreatorio, davanti al popolo argentano: “D’ora in avanti, abbiate il coraggio di dire no!”
Che cosa la spaventa e che cosa la attrae di questa sua nuova avventura professionale?
Non nascondo che la produzione di questo film sia estremamente complessa, ed è la prima volta che mi trovo a ‘maneggiare’ un progetto così importante, sia a livello produttivo che a livello artistico. Senza contare che è un film d’epoca, girato in costume. Ma è questo ciò che mi attrae: la complessità. Se portiamo al cinema un bel lavoro, mi sentirò per la prima volta un ‘adulto del settore’. Per adesso mi sento ancora un ragazzo di cinema.
Una dedica particolare per questo film?
Alla mia famiglia. A Valeria, mia futura moglie. A Marco Cassini. A chi mi ha messo i bastoni fra le ruote, ma non ce l’ha fatta. A chi ha creduto in me e al progetto.
E, soprattutto, alla memoria di Folco Quilici.
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Eleonora Rossi
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