Intervista a Mogol: Benvenuti nella mia scuola per veri artisti
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È mattina presto, sono sveglia da poco e a tratti devo sincerarmi che sia tutto vero: a pochi centimetri da me è seduto Giulio Rapetti Mogol. Non solo il più grande autore di testi della canzone italiana – nonché fondatore della Nazionale Cantanti, impegnato su molti fronti dalla solidarietà, alla medicina, all’ambiente – ma una persona autentica: Mogol nella vita ha saputo essere se stesso.
Scarpe da tennis e tenuta sportiva, Mogol qui è a casa. Mi accoglie con garbo e con un sorriso. Nel calore della ‘stanza rossa’ dedicata a Lucio Battisti, il maestro mi ascolta con attenzione, mi guarda dritto negli occhi. Risponde senza esitare a ogni domanda. Perché dentro di sé ha già chiare le risposte.
Siamo al Cet (Centro Europeo Tuscolano), la scuola fondata da Mogol per valorizzare e qualificare nuovi professionisti della musica pop: un centro di 120 ettari nel cuore dell’Umbria.
Il Cet è un’isola di note e parole. La musica è dappertutto: affiora dalle anfore di creta che disegnano il giardino, corre sul bianconero dei pianoforti disseminati nelle sale e nelle stanze da letto, sul palco del teatro, ma soprattutto pulsa nel cuore degli allievi.
Siamo in 60, da ogni regione d’Italia ma anche dalla Svizzera, tutti abbiamo superato le selezioni per partecipare ai tre corsi: compositori, autori, interpreti. E tutti siamo legati dal desiderio di esprimerci con la musica, la voce e le parole.
“Formiamo l’uomo per formare l’artista”, non a caso, è lo slogan del Cet (www.cetmusic.it).
Quello che accade qui è “un piccolo miracolo”, ci ha raccontato Laura Valente, voce dei Matia Bazar e moglie di Mango, docente di questa scuola.
Che cosa rappresenta per lei il Cet?
Il Cet è il mio regalo al mio Paese: il livello della cultura di una nazione dipende dalla cultura popolare e purtroppo si avvertono forti segnali di recessione in Italia.
Ho girato il Paese per un anno intero prima di trovare un posto come questo, immerso nei boschi e nel silenzio: io volevo andare dentro alla natura e qui ci sono una flora e una fauna unica. Contro il parere di tutti, ho voluto questa scuola di livello internazionale. È riconosciuta dallo Stato che le ha sempre garantito un finanziamento dignitoso, seppure si sia ridimensionato con il passare degli anni. Il Cet è convenzionato con l’Università e rappresenta un centro di eccellenza in Europa: per questo siamo stati invitati anche ad Astana, in Kazakistan.
Abbiamo diplomato 2500 allievi, tra i quali Arisa, Giuseppe Anastasi, Pascal. Lavoriamo con la gratitudine e l’entusiasmo dei nostri studenti e dei nostri docenti, che ci conforta e ci consola.
Qui c’è gente onesta e appassionata, che cerca la qualità, il meglio.
Può spiegarci cosa intende per “il meglio”?
Questa non è una scuola per diventare famosi: perché se sei famoso e non sei bravo, è meglio essere sconosciuto. A noi interessa essere artisti: quella magia grazie alla quale riusciamo a sorprendere chiunque abbiamo davanti, ad incantarlo.
L’importante nella vita è andare dritti per la propria strada. Lo spazio vitale è una cosa piccola, ma con l’arte e l’impegno sociale possiamo rendere conto della nostra missione di vita. Ho racchiuso in un aforisma il senso del nostro essere qui: “L’intenzione è il seme, la pianta è il regalo del destino”.
Lo ha scritto nel suo ultimo libro – ‘Il mio mestiere è vivere la vita’ (Rizzoli) – con parole che meritano di essere riportate: “Mi sono sempre buttato a capofitto nella vita: alla fine, il vero senso dell’esistenza e di quello che conta non è comprare appartamenti, accumulare beni materiali e poi salutare, ma costruire qualcosa, amare, inseguire i propri desideri e fare tutto ciò che che si può per dare il proprio contributo al mondo, alla società, agli altri. È vivere pienamente e lasciare un segno positivo del proprio passaggio”.
Mogol sa lasciare il segno: a quali progetti si sta dedicando ora?
Sto lavorando da due anni a un progetto che mi sta molto a cuore, pensato per le persone migranti.
Il progetto studiato dal Cet si propone di utilizzare milioni di ettari di terreni non coltivati appartenenti ai vari Paesi africani che si affacciano al Mediterraneo, per trasformarli in orti e frutteti biologici. Tra gli obiettivi prioritari c’è la realizzazione di laghi artificiali e impianti di desalinizzazione, costruzioni di case in legno, centri di allevamento bovino, corsi di formazione per giovani laureati italiani che seguiranno il lavoro dei migranti. Vorremmo stipulare contratti sia tra l’Europa e i Paesi africani, sia tra le grandi società agricole europee e l’Unione Europea, che mette a disposizione fondi mirati per progetti come questi.
Lei naturalmente ha lasciato una traccia indelebile anche nei testi delle sue canzoni, che sono entrate a far parte della nostra vita e della cultura italiana. Perché le parole sono importanti?
Sono le parole che portano avanti l’evoluzione di una persona e di una società. Quando scrissi ‘Una giornata uggiosa’, gli editori erano perplessi sull’uso di un aggettivo così insolito, desueto; oggi la parola è rientrata nell’uso comune. Se l’autore esprime il meglio di se stesso e non cerca di fare marketing, ha il potere di dare nuova vita alle parole. Ma le parole devono essere autentiche, vissute.
Le sue canzoni sono piccoli ‘film’, storie per immagini. Lei ama leggere? Quali sono i suoi autori preferiti?
I miei scrittori preferiti sono Flaubert e Steinbeck.
Tra i libri italiani trovo molto affascinanti quelli di Piero Chiara.
Qual è l’ultimo testo che ha scritto?
Ho scritto insieme a Gianni Bella un’opera a cui tengo moltissimo, ‘La capinera’, tratta dal romanzo di Verga, ‘Storia di una capinera’. L’opera ha già ricevuto prestigiosi riconoscimenti, tra i quali quello di direttori d’orchestra come Gustave Kuhn e Catello De Martino. Qualche giorno fa Gabriele Muccino l’ha definita “un vero, grande capolavoro” e presto ci sarà l’occasione di farla conoscere anche al Ministro della Cultura, Dario Franceschini.
Quali sono le qualità che apprezza in un’altra persona?
Apprezzo la vera grandezza e l’umiltà, che sono poi una cosa sola. Se si pensa a Madre Teresa di Calcutta, chi c’è che può reggere il confronto? Chiunque sparisce di fianco a una donna che ha vissuto nel curare gli ammalati. La dimensione di ciascuno di noi si svela nella capacità di dare, nella moralità, nell’onestà individuale. Nella capacità di riconoscere i meriti degli altri. Con sincerità, bontà, intelligenza.
C’è stato un momento di svolta nella sua vita?
Quando la mia canzone “Al di là” ha vinto Sanremo. Avevo 24 anni. La mia vita da quel giorno è decisamente cambiata.
A proposito di Sanremo, abbiamo avuto il piacere di conoscere la cantante Valeria Farinacci, che parteciperà tra pochi giorni al Festival con una canzone di Anastasi ‘Insieme’.
È una bella soddisfazione: al festival quest’anno saremo presenti con questa giovane ex allieva e con cinque canzoni firmate Cet.
Il logo del Cet è un’immagine emblematica: un’aquila con un corpo di lira. La lira è il simbolo della musica, l’aquila richiama il titolo dell’omonima canzone, un inno potente alla libertà: che cos’è per lei la libertà?
La libertà è una conquista personale. Non te la dà nessuno, devi prendertela con coraggio. Ci vuole molto coraggio, al limite dell’incoscienza. Il mio senso di libertà è più forte di tutto.
L’aquila è simbolo di libertà, ma anche di elevazione. È quello che cerchiamo di fare in questa scuola: allenare il talento con un esercizio costante; perché solo camminando con tenacia si affrontano le salite e si raggiungono le vette più alte.
Da chi ha imparato di più?
Ho imparato molto dai miei genitori. Hanno saputo crescermi con affetto e rigore al tempo stesso.
I miei genitori hanno saputo mettermi in condizione di non sentirmi mai a disagio. Io riesco sempre ad essere me stesso.
È difficile essere se stessi?
Essere autentici non costa fatica se ci si esprime con garbo e rispetto. Io un senso di giustizia e di soccorso molto forte, soprattutto nei confronti dei miei quattro figli.
In questi giorni abbiamo conosciuto suo figlio Alfredo…
Alfredo è un’anima bella. Oltre ad essere un affermato autore di testi, Cheope è un pittore molto quotato, le sue opere sono state scelte per la Biennale di Venezia. È un vero artista.
E Artisti veri (aggiungo io che scrivo) sono tutti i docenti del Cet: oltre ad Alfredo Rapetti (‘Cheope’), ci sono Giuseppe Anastasi , docente del ‘Corso autori’ insieme a Maurizio Bernacchia; Carla Quadraccia (‘Carlotta’) e Laura Valente nel ‘Corso interpreti’; Massimo Bombino nel ‘Corso compositori’. E in questa seconda settimana, conclusasi pochi giorni fa, si è unito un altro docente d’eccezione, Giuseppe Barbera, compositore, arrangiatore e pianista di fama internazionale: “Non siamo solo docenti, ci appassioniamo come voi al vostro lavoro e alle vostre idee”, ha spiegato Barbera agli allievi, sottolineando come la canzone nasca “da dentro”: “la melodia è legata a qualcosa che appartiene profondamente alla nostra vita. Non dimenticatelo: la musica salva”.
Applausi.
Uno stage intensivo di otto ore al giorno concentrate in una settimana, per 3 mesi consecutivi, nell’atmosfera indescrivibile di una scuola unica: “Questo posto rigenera l’anima”, commenta Gianni Basilio, uno dei ragazzi del Cet.
Qui, dove anche i compiti sono in rima, le emozioni sono a fior di pelle: sorrisi, abbracci, lacrime. Trepidazione e battiti prima di salire sul palco o di far ascoltare il proprio pezzo musicale. Gli studenti sembrano conoscersi da sempre: improvvisano canzoni ovunque, compongono insieme e si incoraggiano reciprocamente. La sfida non è con gli altri, ma con se stessi, con la propria capacità di far sentire la propria voce.
A teatro, in aula o intorno a un caminetto acceso, gli allievi non perdono una parola del maestro Mogol, che ripercorre il cammino della musica pop, li guida nell’acquisire una sensibilità musicale, insegna loro come scrivere una canzone di successo, fa riascoltare brani che lui stesso aveva dimenticato.
E tutti gli studenti si commuovono quando il maestro racconta, tra gli aneddoti della sua vita, la genesi della canzone ‘Arcobaleno’, segno dell’amicizia infinita con Lucio Battisti: “È una storia vera: ho 80 anni e non ho motivo di mentire. Ve la racconto perché così avrete meno paura della morte”. Una canzone scritta da lui “sotto dettatura”, in soli quindici minuti, assecondando le note di “una musica che aveva il sapore dell’Aldilà”.
“Di quelle parole non ho alcun merito” – racconta con voce emozionata Mogol – “sono un regalo”.
E come un dono, quelle parole sono arrivate a noi: “Ascolta sempre solo musica vera. E cerca sempre, se puoi, di capire.”
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Eleonora Rossi
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